Non è una novità che la separazione ed il divorzio costituiscano un fenomeno sempre crescente nel nostro paese. Molte ricerche e molti autori si sono interessati agli effetti che tali situazioni hanno sui figli, soprattutto in relazione a come vengono gestite dai genitori. Si è scoperto, ad esempio, che i figli dei genitori separati subiscono dei grandi cambiamenti a livello individuale e relazionale… cosa vuol dire questo? Che questi bambini/ragazzi hanno ad esempio un’autostima più bassa dei loro coetanei o grandi difficoltà per ciò che concerne la lealtà nei confronti dei genitori: i bambini o i ragazzi si trovano infatti in mezzo a due fuochi e non sanno, non riescono, non possono, prendere una posizione netta rispetto a mamma o papà perché nel momento in cui lo fanno immancabilmente sono meno leali verso il genitore “contro” cui si sono posizionati… pensiamo alle centinaia di casi in cui c’è un tradimento, o in cui uno dei genitori si vuole separare e l’altro no. In questo caso il bambino, sensibile ed “attaccato” ad entrambi i suoi genitori, si trova nella posizione di solidarizzare con il genitore che viene lasciato o con quello che è stato tradito, vedendo impoverirsi davanti ai suoi occhi la figura dell’altro genitore o addirittura riversando su di lui tutto il suo dispiacere, smarrimento, frustrazione, rabbia, tristezza, e così via. Al di là dell’aspetto della lealtà, quasi sempre presente, diverse sono le implicazioni di una separazione a seconda dell’età del bambino:
- 0-3 anni: il bimbo ancora non ha sviluppato le capacità cognitive sufficienti ed adeguate alla comprensione di ciò che accade. Gli unici strumenti che ha sono quelli emotivi ed affettivi per cui generalmente può assorbire gli stati d’animo dei genitori e, non avendo la possibilità di spiegare verbalmente ciò che prova né di capirne il perché, può sviluppare un senso di “allarme”, visto che la sua base sicura (tutto ciò che conosce è la sua famiglia!) viene a mancare. Potrà mostrare quindi paure, atteggiamenti regressivi, disturbi del sonno o dell’alimentazione o “acting”, ovvero urla, o capricci che richiamino l’attenzione dei genitori impegnati nel conflitto.
- 3-5 anni: siamo in età prescolare e ancora non ci sono le capacità cognitive che permettano al bambino di comprendere il perché di ciò che accade, così il bambino, per natura e fisiologicamente egocentrico ed autoreferenziale, ritiene che la colpa di ciò che accade sia la sua o che il genitore sia arrabbiato con lui. A quest’età compare la fantasia che la famiglia torni insieme, una fantasia che il bimbo può anche verbalizzare. In ultimo, anche qui possono essere presenti atteggiamenti regressivi, rabbia, aggressività, enuresi notturna.
- 5-10 anni: qui siamo in età scolare ed anche in quest’età sono presenti auto-colpevolizzazioni ed il conflitto di lealtà si fa sempre più forte. Come conseguenza di ciò, si possono rintracciare dei vissuti di imbarazzo rispetto al gruppo dei pari, o di insicurezza o depressivi, legati alla “perdita” di uno dei due genitori (intesa sotto lo stesso tetto), co ciò che ne deriva ad esempio i bimbi che vedono dimeno il papà saranno carenti in quelle attività che tipicamente attengono alla sfera del paterno, dagli sport all’imparare tutto ciò che è estremamente pratico, alle capacità di problem solving, e così via. Qui possono comparare anche disturbi somatici o difficoltà scolastiche o di socializzazione.
- 11-13 anni: qui entriamo nella preadolescenza ed è in questa fascia che è più probabile lo sviluppo di disagi psicoemotivi perché di per sé questa è un’età critica. In questo caso una separazione gestita male potrebbe comportare problemi d’ansia, tendenze depressive e problematiche comportamentali e legate alla costruzione dell’identità. Inoltre, in questa età i bambini si possono in qualche modo avvicinare al mondo degli adulti ed è frequentissimo che solidarizzino con il genitore percepito come fragile, dando luogo ad un’inversione di ruoli pericolosissima per il suo benessere emotivo.
- 13-18 anni: qui ci troviamo nel campo dell’adolescenza e della giovinezza dove i ragazzi sono impegnati nella costruzione della propria identità e, proprio per questo, il rapporto con i genitori è di per sé critico. Si assiste così a comportamenti apertamente ostili verso un genitore con la tendenza a stare fuori casa il più possibile, anche perché il gruppo dei pari è considerato come più accogliente e soprattutto parte di un contesto più “solido” (diversamente da quello familiare che si è disgregato). Frequentemente può anche accadere il contrario, ovvero che il ragazzo, preoccupato per il genitore rimasto solo, ritardi il suo processo di crescita, rimanendogli vicino e legato molto a lungo.
Dott.ssa Elena Cagnacci Psicologo – psicoterapeuta
Consulente tecnico d’ufficio del Tribunale di Velletri
Consulente di mediazione familiare
Via Gorizia 17 (Nettuno) tel 3498423141
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