Capita sempre più spesso, purtroppo, che i genitori si rivolgano a diversi specialisti perché la figlia (molto più frequentemente dei figli maschi) gradualmente riduce sempre di più l’apporto di cibo, aumentando invece la quantità di esercizio fisico e, spesso, di studio. Questo accade frequentemente intorno ai 18 anni, anche se già precedentemente può esserci una storia di difficoltà di alimentazione sia nella prima che nella seconda infanzia. Cosa accade a queste ragazze? Come ci rendiamo conto che c’è effettivamente un disturbo dell’alimentazione e dunque un’anoressia o una bulimia in corso?
L’anoressia, in termini tecnici “anoressia nervosa”, consiste nella fortissima paura di ingrassare, nonostante si sia già magri, che porta la persona a restringere sempre più il numero delle calorie che assume rispetto a suo fabbisogno giornaliero. L’autostima della persona, dunque, è legata al suo peso ed all’immagine di sé e non alle proprie qualità o capacità.
Il motivo per cui è così difficile gestire queste ragazze, (o, più raramente, i ragazzi, con un rapporto di 15 femmine per 1 maschio) risiede nel fatto che questa malattia insorge in maniera molto graduale ed insidiosa, magari a seguito di una dieta per migliorare la propria immagine, oppure a seguito di difficoltà digestive, malattie, depressione, interventi chirurgici o traumi, eventi di vita stressanti, cambiamenti di vita, e così via. Da lì, si cominciano gradualmente a ridurre sempre più le calorie, con atteggiamenti di controllo ossessivo di ciò che si mangia, di quanto se ne mangia e di ciò che si dovrà fare successivamente per “smaltire” quello che si è mangiato. I controlli ossessivi, poi, non si limitano al solo cibo, ma arrivano anche al corpo, che viene costantemente monitorato per essere certi di non aver messo su qualche grammo. Guardandosi allo specchio queste ragazze, a causa di una distorsione “mentale” tipica della malattia, continuano a vedersi grasse e dunque a ritenere di dover ancora dimagrire, incastrandosi sempre di più nella spirale anoressica, facendo più esercizio fisico, impiegando sempre più ore per mangiare e trovando stratagemmi, tipo lo spezzettare il cibo in piccoli pezzi o il masticarlo per decine di minuti, e così via. Diviene difficile la loro gestione perché queste ragazze hanno una ferrea autodisciplina e non percepiscono in alcun modo di avere un problema. Di solito, infatti, arrivano all’osservazione di uno specialista solo poiché i genitori sono preoccupati per la loro magrezza, magari perché è andato via il ciclo mestruale, e non perché ritengano di avere un problema!
Le conseguenze dell’anoressia possono essere gravissime e, in diversi casi, questo disturbo può portare alla morte per denutrizione, senza contare che delle volte è correlato a patologie gravi quale può essere la depressione, ed in questo caso può esordire nel suicidio. Il corpo, inoltre, risente di tutte le sostanze che gli mancano e del forte stress fisico cui è sottoposto, per cui queste ragazze presentano spesso gravi problemi alle ossa, insufficienza renale, alterazioni cardiovascolari, perdita di denti e di capelli, oppure possono contrarre più facilmente infezioni o alterazioni elettrolitiche.
Un altro disturbo, in realtà più frequente dell’anoressia nervosa, è la bulimia nervosa. In questo caso la persona tende ad abbuffarsi in maniera ricorrete e per lungo tempo (può mangiare anche per un’ora di fila), ad esempio “ripulendo” tutto il frigorifero senza particolari distinzioni tra dolce e salato. Successivamente, per evitare di prendere peso, mette in atto delle “condotte eliminatorie”, ovvero, si procura il vomito o assume dei lassativi per evacuare ciò che ha ingerito. Ciò che contraddistingue queste abbuffate è la sensazione di umore disforico (triste) che spesso le precede oppure delle condizioni interpersonali di stress o sentimenti di insoddisfazione per il peso e la forma del corpo, o ancora sentimenti di vuoto e solitudine. Come per l’anoressia nervosa, anche la bulimia ha conseguenze molto gravi sull’organismo, soprattutto in relazione a disturbi gastrici, erosione dello smalto dentale, disidratazione, ipotalassemia e disfunzioni cardiache.
Cosa fare dunque? Di certo, come dicevo all’inizio, chi soffre di anoressia o di bulimia, spesso non è consapevole o non vuole vedere il proprio disturbo. Chi ne soffre maggiormente sono i familiari, che vedono letteralmente sparire sotto i loro occhi i loro figli. Un dato vale sempre: prima si interviene e maggiori sono le possibilità di riuscire ad affrontare il disturbo. La terapia familiare risulta essere, in tal senso, uno degli approcci migliori perché i disturbi dell’alimentazione, soprattutto se esordiscono intorno ai 18 anni, sottendono sempre una sofferenza ed richiesta di aiuto alle figure genitoriali, che dunque è inutile tenere “al di fuori” del contesto.