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Antonio Rezza apre il Festival di Torino con il suo film “Il Cristo in gola”

“Il Cristo in gola”, nuovo Vangelo nei luoghi di Pasolini. Il Vangelo secondo Antonio Rezza, cioè “Il Cristo in gola”, iniziato a girare nel 2014, è il film che il 25 novembre aprirà il Torino Film festival diretto da Steve della Casa. Il primo Vangelo non solo apocrifo ma ateo senza reticenze, di cui l’autore sottolinea l’aderenza filologica almeno nella prima parte: “Per me — dice Rezza, Leone d’oro alla Biennale nel 2018 al Corriere della Sera — è stata un’esperienza performativa. Il protagonista, quello divino, è sempre un collega che mi fa tenerezza, ma non volevo far pubblicità occulta alla religione di stato, così come Pasolini ho quasi tutto girato a Matera”.
Un Cristo che non dice una parola ma urla la sua disperazione, spesso riverso sulle ginocchia di Maria, come già morto, ma fa miracoli: guarisce senza toccarlo un uomo deformato, si fa la croce da solo con chiodi e martello, mentre la moltiplicazione di pani e pesci permette un maxi sandwich, l’ultima cena si svolge in acqua e gli innocenti di Erode girano in giostra. Otto anni di lavorazione, titoli di testa scritti sulle croci («perché ciascuno si prepara la sua»). Rezza fa film indipendenti e spesso senza uscita ufficiale. Senza guadagnare un euro: «Se mai darei in beneficienza, sono vittima di moralità ottusa». Ma lei viene comunque promosso da Gesù a Dio, dopo essere stato crocefisso dalla Madonna. “Ci sono due crocefissioni ma nessun ladrone: la seconda l’ho fatta su Giordano, figlio mio e di Stefania Saltarelli, allora aveva sei mesi”.
D ’accordo è finto, ma c’è rumore e il bimbo piange, è spaventato. «Dopo tre pianti la mamma me l’ha portato via. Oggi lui dice che non mi dà la liberatoria perché non è stato pagato. Ma siamo d’accordo che quando muoio io sarà lui a portarmi in braccio e girerà la scena, sarò l’unico attore che si è preparato vivo la scena da morto». Ecco vari momenti dell’evangelica storia, la strage di innocenti bambolotti («con uno nero»), Ponzio Pilato, l’acqua che diventa vino. «Ma tutto è casuale e non intenzionale, come la scena della Sindone o l’arcangelo Gabriele soldato perché il ragazzo allora era telegrafista; il Diavolo è una saggia donna che continua a chiedermi di far piovere, dice perle di saggezza popolare sull’amore materno ma vuol sapere se sono iscritto alla Siae». Perché tante urla e zero parole? «Nel film strillo perché la disperazione non è verbalizzabile, va urlata: avevo magnifici aforismi che sono rimasti inediti. In fondo Dio è un suono puro ed è la più grande invenzione dell’uomo: inibisce, è un salvagente che si confronta con quel trastullo miserabile che è l’uomo. Per me è uno sfogo di protesta per un sistema culturale corrotto, certo che Dio sarebbe con noi».
In bianco e nero, colonna sonora dello stesso Rezza («calco di alcune musiche di aborigeni»), trafitto come San Sebastiano dall’humour grottesco, il film aggiunge nel sonoro voci argentine: “Quelle di Peron, di Evita e Videla, il pathos del peggior capitalismo, il Male: Dio è desaparecido perché l’uomo nasce e muore di destra e disposto a calpestare tutto”.
Nel film si vede la progressiva mutazione fisica di Rezza, la crescita del bambino, tutto segue il corso del tempo. Dopo il Leone d’oro per il teatro non ha proposto il film alla Mostra del cinema? “L’ho fatto vedere a Barbera ma non l’ha preso. Peccato, mi sarebbe piaciuto un altro Leone, è anche una questione di arredamento”.