“In merito al gravissimo episodio di bullismo verificatosi in una scuola del nostro territorio, dinanzi ad un fenomeno epocale e generazionale (il bullismo) le cui cause sono molteplici, complesse e trasversali volentieri condividiamo le riflessioni di un insegnante del territorio.
Da parte di tutti noi, in primis di chi occupa ruoli istituzionali, sarebbe auspicabile l’impegno ad abbassare i toni del confronto per evitare che passi il messaggio che se alzi la voce, se deridi, se fai il prepotente, allora riesci a sottomettere o sminuire l’altro.
La politica in tal senso ha una grossa responsabilità e non sempre offre buon esempio.
Alla ragazzina aggredita va la nostra solidarietà e gli auguri di pronta guarigione, ai ragazzi che da quanto si legge, sembrerebbe abbiano agito in branco, l’auspicio per il loro bene che acquisiscano quanto prima gli strumenti per comprendere la gravità del loro gesto.
“Leggo sgomenta dell’ennesimo atto di incomprensibile violenza effettuata da un gruppo (Branco?) di ragazzini verso una compagna, per di più avvenuta all’interno di una scuola.
Leggo … e mi sento in colpa.
Come docente, come genitore … come adulto.
Rifletto sulla mia esperienza di docente, sull’aggressività verbale, sullo scherno, con cui spesso i ragazzi, con disarmante inconsapevolezza, si rivolgono l’un l’altro.
Spesso li fermo, li faccio riflettere, a volte mi ascoltano, perché io per prima li ascolto, cercando di non accusarli, ma di capire.
Ho tra le mani il libro che un’insegnante/terapeuta di una scuola Superiore di zona ha recentemente scritto: “Culpa in educando, culpa in vigilando”. Penso anche io che la “colpa” è della comunità educante in toto e tra questi metto la società in cui viviamo.
E mi riferisco all’aggressività, allo scontro, all’umiliazione dell’altro che contraddistinguono molti dei nostri rapporti tra adulti: i talk show, la politica, i commenti sulle chat, le relazioni tra automobilisti, le diatribe in strada, …
Di fronte a tutta questa bassezza, li abbiamo lasciati soli, anzi, li abbiamo lasciati soli con in mano un cellulare con cui navigare inconsapevoli ed affrontare, senza strumenti, il mondo.
Non siamo stati in grado di educare, ed è indubbio che la prima fase dell’educazione e dell’ascolto deve avvenire in famiglia, poi c’è la scuola, che spesso si limita ad istruire, perché, come ci ricorda U. Galimberti “per ragioni oggettive e per ragioni soggettive, non è in grado di educare”.
Ricorro ancora alle riflessioni e alle parole di chi ne sa più di me (sempre Galimberti): le emozioni non sono innate, e l’educazione ha il compito di percorrere quel tragitto che dalle pulsioni, naturali ed istintive, conduce alle EMOZIONI, “che consentono ai nostri ragazzi di acquisire quella risonanza emotiva che permette loro di “sentire” immediatamente, prima ancora di riflettere, la differenza tra il bene e il male, tra ciò che è grave e ciò che grave non è. Questo tragitto educativo si conclude con il passaggio dalle emozioni ai sentimenti, che non sono un fatto naturale, ma culturale. I sentimenti si imparano”
… e noi glieli abbiamo insegnati?
E’ chiaro che di fronte ad un atto violento, la scuola, gli adulti debbano segnalare e punire, ma non penso che questa sia la strada per aiutare veramente i nostri figli, vittime o bulli che siano”.
Alessandra Fantacone