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L’AVVOCATO RISPONDE – Le dichiarazioni giudiziale di maternità e paternità

Nuovo appuntamento con la rubrica "L'AVVOCATO RISPONDE" a cura dell'avv. Fabrizio Lanzi che affronta le tematiche più importanti del settore e chiarirà i vostri dubbi. In questo articolo si parla delle dichiarazioni di maternità e di paternità. Per inoltrare le vostre domande potete scrivere agli indirizzi: s.legale.lanzicampagnoli@gmail.com OPPURE redazione@ilclandestinogiornale.it con oggetto “IL CLANDESTINO, RUBRICA L’AVVOCATO RISPONDE” oppure con #avvocatoLanzirisponde

“La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.

La maternità è dimostrata provando l’identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale”.

LA PROVA: nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità, la prova della fondatezza della domanda può legittimamente trarsi anche dal solo comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente tenendo conto delle affermazioni del ricorrente, della portata delle difese e delle eccezioni del convenuto, del suo rifiuto di sottoporsi ad eventuali esami immuno – ematologici, delle ragioni del rifiuto e della eventuale elusione in via di mero fatto degli accertamenti pur non espressamente rifiutati, non tralasciando di considerare il contesto sociale della vicenda agli effetti di una eventuale maggiore difficoltà di reperire riscontri probatori oggettivi alle affermazioni poste a fondamento della domanda (Cass. 18.12.1998, n. 12679).

Tuttavia, ai sensi dell’art. 269 c.c., la prova può essere data con ogni mezzo e quindi anche mediante presunzioni, le quali non esigono per la loro validità ed efficacia probatorie che il rapporto tra fatto noto e fatto ignoto presenti il carattere della necessità assoluta, essendo all’uopo sufficiente che il fatto ignoto sia deducibile da quello noto secondo “l’id quod plerumque accidit” (Cass. 21.06.1984, n. 3660).

Ma v’è di più. Le parti, sulle quali dovrebbero essere effettuati i prelievi ematici sono libere di sottrarsi alle indagini tecnico-scientifiche ordinate dal giudice, ma questi può dalla motivazione del rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell’art. 116, comma 2 del c.p.c.

Ai sensi della nuova formulazione dell’art. 269 c.c., la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la stessa e il preteso padre non costituiscono prova sufficiente della paternità naturale.

Questi elementi, tuttavia, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice ove trovino riscontro in altre risultanze probatorie, sia pure di carattere presuntivo, quali ad esempio la mancata prova dell’exceptio plurium concubentium nel periodo del concepimento (Cass. 27.05.1982, n. 3245).

Con riguardo alla proposizione della exceptio plurium concubentium, la giurisprudenza di merito ritiene inammissibile una prova che faccia riferimento ad una serie di relazioni della donna con altri uomini di cui non si indicano i nomi, così implicando un giudizio morale, da parte dei testimoni da escutere, sulla condotta di vita della donna medesima e non la dimostrazione di rapporti intimi con altri uomini all’epoca del concepimento.

 

Ai sensi dell’art. 270 c.c., invece, l’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità naturale è imprescrittibile riguardo al figlio. Se il figlio muore prima di avere iniziato l’azione, questa può essere promossa dai discendenti legittimi, legittimati o naturali, entro due anni dalla morte. L’azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti”.

Tuttavia, il principio della imprescrittibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità naturale, di cui all’art. 270 c.c., comma primo, non implica un contrasto con l’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo della lesione del diritto di difesa degli appartenenti alla famiglia legittima nei cui confronti viene promossa l’azione medesima, tenuto conto che il lungo tempo eventualmente trascorso dalla dedotta procreazione può determinare mere difficoltà nell’esercizio del diritto stesso, che sono giustificate dall’esigenza di tutelare lo “status” della persona ed inoltre sussistano, in ugual misura, anche per la parte istante (Cass. 3.05.1988, n. 3298).

Infine, è opportuno chiarire che la nuova disciplina della dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, introdotta dalla legge n. 151 del 1975, pur trovando immediata applicazione nei riguardi dei figli nati prima della sua entrata in vigore, non deroga, in difetto di espressa previsione, ai principi che regolano l’autorità del giudicato sostanziale, e non consente, pertanto, la riproposizione della domanda che sia stata respinta sotto la previgente normativa, a condizione, peraltro, che si sia trattato di rigetto in senso proprio (cioè per diniego della filiazione naturale e conseguente infondatezza nel merito della domanda) e non anche di pronuncia che abbia dichiarato l’inammissibilità dell’azione per l’insussistenza di una delle ipotesi fissate dal vecchio testo dell’art. 269 c.c. (Nella specie, la domanda era stata originariamente dichiarata improponibile perché l’attore era decaduto dall’azione per la decorrenza del termine di due anni dal raggiungimento della maggiore età ai densi del primo comma dell’art. 271 c.c., poi abrogato dall’art. 115 della legge n.151/75; la S.C., nell’affermare il principio di diritto che precede, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva sancito la sopravvenuta proponibilità dell’azione medesima). (Cass. 4.08.2000, n. 10255).

Avvocato FABRIZIO LANZI

L’avvocato Fabrizio Lanzi

STUDIO LEGALE LANZI-CAMPAGNOLI
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