Sabato 27 aprile, alle 17.30, presso la Sala del Consiglio comunale di Villa Sarsina in Anzio, Cristina Annino e Antonio Veneziani presenteranno libro “Il nome che ti manca”, Poesie 2005-2015 scelte e confezionate, di Ugo Magnanti, con due note di Carlo Bordini e Rino Caputo. Coordinerà l’incontro il professor Eugenio Bartolini dell’Upter Anzio-Nettuno.
L’opera, che raccoglie una scelta da un corpus decennale, esce per l’autorevole collana di poesia Rive delle edizioni peQuoddi Ancona. L’evento è a cura di Fusibilia Associazione Culturale.
Ugo Magnanti ha pubblicato diverse opere di poesia, tra le quali, più recentemente, il poemetto in ‘stanze’ “L’edificio fermo”, con prefazione di Antonio Veneziani e una nota di Cristina Annino, FusibiliaLibri, 2015, e la plaquette “Ciclocentauri”, con tavole di Gian Ruggero Manzoni, FusibiliaLibri, 2017. Fra le curatele “Quanto non sta nel fiato”, tutte le poesie della poetessa serba Duška Vrhovac, prefazione di Ennio Cavalli, FusibiliaLibri, 2015; “Sogni di terre lontane”, di Gabriele D’Annunzio, prefazione di Pietro Gibellini, Scoprirenettuno, 2010. Fra le tante presenze a manifestazioni di poesia, nel 2012 ha partecipato al 49° “Festival internazionale degli scrittori di Belgrado”. Ha ideato e diretto numerosi eventi letterari e ‘azioni poetiche’ in varie città italiane, con centinaia di presentazioni, incontri, rassegne, letture. Nel 2010 ha ideato e diretto “Nettuno Fiera di Poesia”: poeti, libri di poesia, piccoli editori nel Lazio. Lavora come insegnante di materie letterarie in un istituto superiore.
Cristina Annino, cresciuta ad Arezzo, a Firenze studia Lettere moderne e frequenta il Caffè Paszkowski dove entra in contatto con il Gruppo 70. Nel 1969, con le edizioni Tèchne di Firenze, pubblica il suo primo libro di poesia, “Non me lo dire, non posso crederci”. Nel 1984 Walter Siti la include nel terzo volume dei “Nuovi poeti italiani” (Einaudi). Nel 1987 grazie ad Antonio Porta pubblica per Corpo 10 di Milano “Madrid,” volume con cui vince l’anno dopo il Premio Pozzale Luigi Russo. Nel 2001 Franco Loi e Davide Rondoni la inseriscono nell’antologia “Il pensiero dominante. Poesia italiana 1970-2000” (Garzanti, 2001). I suoi versi sono stati tradotti in diverse lingue.
Antonio Veneziani è nato a Piacenza ma è romano d’adozione. Narratore, saggista, traduttore, è considerato l’ultimo poeta beat italiano e tra gli autori più rappresentativi della cosiddetta “Scuola Romana di poesia”, che va da Pier Paolo Pasolini a Dario Bellezza, da Amelia Rosselli a Renzo Paris. Numerose le sue opere di poesia, tra le quali, il celeberrimo “Brown Sugar”, recentemente ripubblicato in edizione accresciuta da Hacca.
Hanno scritto sulla poesia di Ugo Magnanti:
Cristina Annino: “… immagino [Ugo Magnanti] più che aprire porte ideali, salire invece le scale di un approfondimento interiore, con addosso “un’allegria operaia […]” come scrive nel [quarto testo dell’Edificio fermo], componimento dove mi sembra che lui raggiunga quasi la perfezione, per compostezza e fluidità di linguaggio. Molte sarebbero comunque le poesie da segnalare, in questo libro dove l’esame del poeta, su di sé e sul mondo, ci viene offerto con una freschezza linguistica invidiabile, nonostante l’evidente complessità che l’origina”.
Carlo Bordini: “La tragedia è sempre dietro l’angolo, e sembra che Magnanti se ne faccia una colpa. C’è qualcosa di misterioso e anche di impassibile in questa poesia. Fa pensare a certi trionfi della morte, ad alcune danze macabre, a certa poesia medievale, in versetti, a volte, che sono tra il religioso e il macabro”.
Rino Caputo: “Sicché l’opera di Magnanti, per ora conclusiva di una prolungata e già conclamata stagione poetica, si protende verso ogni futura operatività, con l’acquisita padronanza della forma, che, proprio per questo, è pronta per ogni espressività futura. È forse per questo che il presente (nuovo) Libro designa l’assenza, “il nome che ti manca”. Eppure la direzione è chiara e sicura”.
Giacomo Cerrai: “Magnanti investe e riveste il reale, il sociale, di uno sguardo decentrato, di un pensiero laterale che soffermandosi apparentemente sul marginale rivela invece cose nascoste, la possibilità che il testo medesimo o la poesia in genere possa svoltare verso altri impensati esiti”.
Beppe Costa: “Quella stessa stazione verso cui tutti ci avviamo, [in Ugo Magnanti] ha un ruolo predominante e determinante: il suo tempo, le sue parole o sguardi sono tesi verso una qualche ricompensa o resurrezione, sapendo bene quanto sia impossibile e si domanda (senza poter rispondere) come sia possibile vivere, respirare con la tragedia che attorno e dentro incombe.
Annamaria Ferramosca: “E un’originalissima energia poetica, in ritmo e dettato, promana dalla corposa parte III^ dal titolo “L’edificio fermo” [di Ugo Magnanti], dove sensazioni e brani di pensiero si inseguono all’interno di un ribollente magma interiore. Domina il senso ambiguo di una grande illusione che sommerge l’umano e investe l’intero universo”.
Gianfranco Franchi: “Magnanti è un poeta accecato dal gelo: tende a una visione lucida e distaccata della realtà, ritirandosi in una prospettiva laterale, difendendosi quasi, con l’estraneità, dal fuoco … del sistema”.
Letizia Leone: “Magnanti crea una poesia di equilibrio tra passione ed intelletto, e non risulta casuale la citazione di John Donne, massimo esponente della schiera dei metafisici inglesi, fatta da Antonio Veneziani nella prefazione”.
Giorgio Linguaglossa: “Quello di Magnanti è un discorso poetico incentrato sulla disseminazione dell’io. La versificazione procede per contiguità e per affinità, in modo razionale come può essere razionale un incubo sospeso tra i realia del sogno e il nulla, un viaggio all’interno di un nichilismo interrotto, qua e là, da presenze umane irriconoscibili dove l’io è una figura altra, sospesa nella sua dimensione di inessenza e di alterità”.
Gian Ruggero Manzoni: “Quest’opera, che raccoglie una scelta da un corpus decennale di composizioni, ribadisce il come Magnanti sia uomo e poeta di grazia, di profondità, di intelligenza, di sintesi proficua e incisiva. La sua è una calligrafia intima, oserei visiva, cioè simile a un disegno o a una leggera pennellata, in cui le parole sono selezionate, ritagliate, ordinate da soluzioni di stampo lirico e da motti di concetto, così che il tutto risulta composto, limato all’inverosimile, seppure fresco, naturale, nel suo comunque porsi colto”.
Dante Maffia, il libro [di Ugo Magnanti] ha una sua valenza alta e senza servirsi di clamori musicali o di impennate liriche ci accompagna alla scoperta di alcune verità imponderabili colte sul filo dello sguardo e su quello della memoria. Non ci sono eccessi, in queste pagine, un equilibrio direi bacchelliano domina la sintassi e i vari quadri e il risultato è molto convincente perché riusciamo a entrare anche nei segreti della quotidianità…”.
Alfredo Rienzi: “La cifra stilistica di Magnanti, oltre che da quanto già frammentariamente accennato, prende forza espressiva anche in virtù di una alta densità di sostantivi e forme verbali (prevalentemente al presente ed in prima persona singolare) e, soprattutto, per una ipoaggettivazione quanto mai efficace e distintiva in un rigoroso lavoro di disossamento del materiale linguistico”.
Antonio Veneziani: “… La poesia di Ugo Magnanti è in buona sostanza, insieme gioiosa e sofferta, è la poesia di un poeta che scopre la sua “parola” e la deposita sulla pagina, regalandola al lettore perché la brandisca contro l’entropia, gridando come John Donne, “morte morirai”. È così che vuole un vero poeta, è questo che spera Ugo Magnanti che è un poeta autentico, come si sarebbe detto un tempo, un poeta di razza”.