Il drammatico incidente costato la vita due anni fa a Domenico Di Liscia, un autotrasportatore di 40 anni, di Anzio, è stato qualcosa di ben diverso da una delle tante tragedie che si consumano sulle strade. Il 40enne è morto carbonizzato perché messo dal suo datore di lavoro alla guida di un autoarticolato vecchio, immatricolato da vent’anni, privo di collaudo e su cui era stato montato abusivamente anche un serbatoio supplementare dove stipare 600 litri di gasolio. Un omicidio stradale. Questa la convinzione del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Grosseto, Marco Mezzaluna, che sposando la tesi del sostituto procuratore Arianna Ciavattini, ha rinviato a giudizio il datore di lavoro della vittima, Riccardo Piattella, 23enne di Aprilia, già al centro di un processo antimafia in corso a Latina su un traffico di rifiuti sepolti in una cava a due passi dalla Pontina.
La tragedia si verificò il 27 aprile 2017 sull’Aurelia, nel territorio comunale di Orbetello. Di Liscia, alla guida di un autoarticolato Scania carico di bottiglie, perse il controllo del mezzo, finì contro il guardrail e, ribaltatosi, morì carbonizzato nell’incendio che avvolse in breve tempo l’autoarticolato. Il sostituto Ciavattini, dopo una lunga serie di indagini, ha ritenuto che il dramma sia stata causato dalla totale insicurezza del mezzo pesante e soprattutto a quel serbatoio abusivo che ha trasformato, dopo l’impatto, l’autoarticolato in una bara di fuoco.