Alessandro Bernardi e Simona Spallotta, a poco più di un mese dall’incidente d’auto che gli ha strappato il figlio Santiago e la sorella e cognata Sabrina Spallotta, incinta di sette mesi, hanno rilasciato una toccante intervista al Corriere della sera che riportiamo integralmente.
“Mi sono state strappate via le persone più importanti della mia vita, mio figlio e mia sorella. Spero solo sia fatta giustizia e che le persone pericolose alla guida vengano fermate”.
Simona Spallotta ha vissuto una tragedia indicibile, ma non c’è rabbia nelle sue parole, solo amore e gratitudine. Dal suo letto all’ospedale San Camillo di Roma, (dove è ricoverata dalla sera del 4 settembre, anche lei incinta era in auto con la sorella e il figlio ha subito la frattura del bacino e una serie di colpi e contusioni serie) trova la forza di raccontare i giorni più bui illuminati però dall’affetto e dalla vicinanza del marito Alessandro e di intere comunità. Un mese fa, la sera del 4 settembre, su una strada di Nettuno, Simona, incinta, è rimasta coinvolta nell’incidente in cui sono deceduti suo figlio Santiago, 5 anni, e la gemella Sabrina, anche lei in dolce attesa.
“L’amore ci aiuta ad affrontare il lutto”.
Simona è energia e tenerezza insieme mentre racconta come si affronta il lutto più inimmaginabile, gesticola decisa, ogni tanto si alza in piedi col pancione che sporge: la buona notizia è che domani tornerà finalmente a casa. Parla, nonostante il dolore, perché vuole essere di aiuto a chi ha subìto tragedie come la sua, vuole condividere l’amore che ha ricevuto. Il ricordo di Santiago.
“È stato Santiago a scegliere il nome della sorellina, non vedeva l’ora di vederla: si chiamerà Sole – svela la 39enne, il viso le si illumina mentre parla del figlio perduto – ci sono stati episodi a cui ci aggrappiamo ora: pochi giorni prima della tragedia mi abbracciò dicendo che era orgoglioso di quello che facevamo per lui, poi baciò il pancione e disse a Sole che era fortunata a vivere nella nostra famiglia”.
Un bambino intelligente e vivace Santiago, era la mascotte del pub Kinsale, gestito dal papà, anche coordinatore della Proloco di Nettuno. Simona e Alessandro si scambiano uno sguardo e regalano un’immagine tutta loro, intima, straziante eppure straordinaria. “Quest’estate a Ponza, erano tutti con le valigie – dice ancora Simona sorridendo al quel ricordo – io mi offro di portarne una: Santiago mi guarda e mi dice: No mamma, tu porti già qualcosa, tu porti l’amore”. Un lutto già insostenibile, eppure non l’unico per questa giovane donna. “Io e la mia gemella, due corpi un’anima”. “Due corpi, un’anima, questo eravamo io e mia sorella – la voce si incrina, gli occhi non trattengono più le lacrime, Simona guarda un punto fisso della stanza mentre i ricordi stringono il cuore. Sabrina voleva essere mamma, voleva una famiglia, ma prima voleva lavorare. Quella gravidanza con Paolo l’hanno tanto cercata. Ma lei era già una mamma. Per il mio Santiago”.
Istantanee di vite meravigliose, nessuna rabbia, nessun risentimento: impossibile non chiedere come sia possibile, come si sopravvive a un’ingiustizia simile, tre vite spezzate in un attimo. Il primo pensiero è lei, Sole, che nascerà tra un mese: “Si merita di venire al mondo nell’amore, non nell’afflizione: deve avere la stessa famiglia che ha avuto Santiago”, giurano a loro stessi i coniugi. Ma c’è di più, c’è il bisogno di aggrapparsi al bene ricevuto. “Io non ho rimpianti – dice di getto Simona – ho amato mio figlio, me lo sono goduto totalmente, come mia sorella. Godetevi chi amate finché potete. Nessuno ora ce li ridà indietro. O ti arrendi al dolore, oppure lo accetti, lo elabori, giorno per giorno, disperandoti certo, ma poi reagendo”. Ancora quello sguardo carico di sottintesi e il marito sa già cosa aggiungere.
“Al San Camillo staff straordinario, ci hanno salvati – ha detto Alessandro – abbiamo affrontato questo dolore insieme, anche perché qui al San Camillo mi hanno permesso di dormire con lei, l’unione aiuta, se fossimo crollati sarebbe crollato il mondo intorno a noi – dice Alessandro – nella disgrazia siamo stati fortunati, dobbiamo ringraziare moltissime persone. A partire dallo staff di questo reparto di ostetricia: anche grazie a loro che siamo sopravvissuti. Bravi, ma soprattutto con un’umanità eccezionale. Ci hanno donato una bolla in cui soffrire e reagire”.
E poi i primi soccorritori, rammenta Simona, “i medici del pronto soccorso a cui dissi salvate mio figlio, prendete me, in uno scambio impossibile che mi aiutarono ad accettare”, dice Alessandro. E ancora le istituzioni e i carabinieri di Nettuno, “meravigliosi, ci hanno confortato e aiutato, recuperando gli oggetti cari persi nell’incidente – aggiunge Simona – siamo stati travolti da un’ondata di affetto, ci ha profondamente colpito la vicinanza e l’affetto delle nostre comunità”.
Solo parole di accettazione e, sì, di fede nel bene che c’è nel mondo. Nonostante quella Mini guidata dal 45enne Philippe Morville, lanciata contromano su via Cervicione che ha ucciso i loro cari.
“Lui non è nei nostri pensieri, ma vogliamo giustizia – chiedono in coro i coniugi – se ci sono persone così pericolose che alle 20.30 di un mercoledì sfrecciano tra le case, vanno fermate. Il nostro augurio è che la nostra tragedia ne eviti altre”.