Il 23 maggio di trentadue anni fa è stato il giorno in cui tutto è cambiato. A morire un Magistrato di prim’ordine che aveva dovuto fare i conti persino con il dubbio di una collusione con quella mafia che stava combattendo, grazie a due attentati falliti.
La mafia non sbaglia mai, si diceva per sminuire il suo lavoro, il suo coraggio, quella capacità che hanno pochi uomini di essere fedeli a se stessi e di saper fare la cosa giusta.
Quel Magistrato era Giovanni Falcone. Il 23 maggio a Capaci l’esplosione avvenne alle 17.56 e 48 secondi.
Era sabato e poco dopo il dramma tutta Italia vide delle immagini che non è stato più possibile dimenticare. Un errore fatale quello del malaffare, uccidere un Magistrato eroe che ancora oggi ispira giovani e meno giovani nella lotta al crimine, un esempio un vero mito. L’immagine di Falcone resterà per sempre nella storia del nostro Paese al contrario dei personaggi di malaffare che ha sempre combattuto, che sono spariti. Che dopo aver vissuto una vita indegna moriranno dimenticati.
La strage mafiosa più crudele della storia italiana fu eseguita con 500 chilogrammi di tritolo, nitrato d’ammonio e T4: devastò un tratto dell’autostrada A29 all’altezza del cartello dello svincolo per Capaci-Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo. L’obiettivo erano le tre auto blindate che scortavano il giudice Giovanni Falcone, 53 anni, e sua moglie Francesca Morvillo, 47 anni e anche lei magistrato, dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. A morire anche gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Molti collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, organizzatore ed esecutore della strage di Capaci, negli anni Novanta raccontarono che Falcone era obiettivo della mafia fin dal 1983, da quando cioè fu costituito il pool antimafia di Palermo, la squadra di magistrati che indagò sistematicamente su Cosa Nostra e istruì il celebre maxiprocesso. I mandanti e gli esecutori della strage di Capaci furono arrestati nei mesi e negli anni seguenti. Tutti i componenti della commissione provinciale di Cosa Nostra furono condannati all’ergastolo come mandanti. Alcuni degli esecutori materiali sono divenuti collaboratori di giustizia e hanno avuto pene minori.
Quello che ha lasciato in eredità Falcone alla Giustizia, oltre al coraggio indomito contro un male crudele, è stato un metodo per contrastare la mafia a livello legale e istituzione. Quello su cui ancora si deve lavorare, grazie a persone della sua statura morale, è creare in un Paese come il nostro un rispetto assoluto per i valori della legalità. Per riuscire ad essere una nazione che non deve avere più bisogno di Eroi per stare sempre dalla parte giusta. (eb)