Questa è la storia di una mamma di Nettuno, che quest’anno ha avuto la gioia di veder realizzata l’integrazione per suo figlio nella sua scuola di Nettuno. Grazie ad una serie di fattori che hanno reso felice un bambino e tutta la sua famiglia. Una storia bellissima da poter raccontare.
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Il clima di classe si può definire come l’atmosfera che si viene a creare in un contesto di apprendimento: esso “riflette la vita scolastica e quella socio-emotiva della classe e condiziona il processo di apprendimento/insegnamento attraverso i sottili elementi che coinvolgono gli insegnanti, gli studenti, le famiglie, la comunità educativa e il contesto sociale” (Fisher 2003, p.264).
Secondo Freiberg (1999) il clima di classe positivo è il prodotto della combinazione di cinque aspetti a cui i docenti devono porre attenzione:
– la prevenzione negli studenti di atteggiamenti di scarso autocontrollo, di impulsività, di mancata appartenenza al gruppo che creano all’interno della comunità scolastica fenomeni di disagio, bullismo, dispersione;
– il prendersi cura dei bisogni dell’alunno, arrivando alla personalizzazione dell’insegnamento che permette di considerare ciascuno come un soggetto originale che apprende;
– la cooperazione tra gli studenti che deve sostituire la competizione, attraverso la quale si valorizza la persona solo se raggiunge il successo;
– l’organizzazione dei propri interventi per pianificare la costruzione di un clima positivo;
– la collettività in cui ciascuno può prendersi cura dell’altro, secondo il proprio ruolo.
E quando c’è la disabilità? Come si fa? La maggior parte delle volte si contiene, si ignora, si evita il problema, si guarda solo alla diversità, dimenticandosi che parliamo di bambini che vivono la diversità, ma anche del bambino speciale che vive in un contesto per lui diverso.
E quindi? Come si spiega ai bambini questa cosa?
Non si può.
Però avvolte accade così come nella classe dell’Istituto Comprensivo Nettuno II, precisamente nella IVB. Dove 24 bambini e le loro insegnanti sono riusciti a creare un legame tra loro davvero speciale, ovvero dove la specialità è normalità. Facile a dirsi ma difficile a farsi.
“L’educazione alle diversità …. è progetto trasversale e non è sinonimo di educazione alla solidarietà. E’ richiamo a riconoscere la diversità e a rispettare il diritto alla diversità. L’educazione alle diversità precede e prepara quella alla solidarietà: non si può essere solidali senza imparare a riconoscere la diversità, senza apprendere il rispetto della diversità, senza assumere responsabilità crescenti.
L’educazione alla diversità richiama la capacità di acquisire competenze legate a una “filosofia dell’incertezza”. (Galli, in AA.VV., 1991). E’ possibile, da parte degli adulti, impedire il formarsi dei pregiudizi e delle diffidenze nei confronti dei compagni “diversi” , e quindi, che i bambini crescano, accettando facilmente il compagno “diverso”, come uno di loro, stabilendo con lui relazioni significative.
Se l’adulto, in particolare gli adulti di riferimento, hanno paura e vivono con disagio la diversità, ciò innesca anche nei bambini le stesse difficoltà, gli stessi disagi e diffidenze. La vicinanza con l’altro, superata la prima fase di conoscenza, a volte difficile , porta necessariamente all’azione orientata al bene sociale, grazie alla capacità di empatia che i bambini hanno e che si sviluppa sulla base delle affinità con il disabile e tutti gli altri bambini.
Le classi integrate arricchiscono ogni bambino dandogli l’opportunità di imparare dagli altri, di occuparsi degli altri e di acquisire inclinazioni, abilità e valori necessari per sviluppare l’autostima e il rispetto degli altri.
I bambini che vivono in classe con compagni disabili elaborano una maggiore maturità sul piano emotivo e cognitivo.
Per i bambini disabili, viceversa, stare con i compagni “normali”, aumenta la voglia di fare, di imitare, di emulare e quindi di “imparare”.
Si rende perciò necessario un percorso che aiuti i bambini ad accettare il diverso senza paura e senza la mistificazione del “siamo tutti uguali”, che non serve a riconoscere né la propria originalità né quella del bambino con bisogni educativi speciali.
Alla radice di questi atti, sta la tendenza e la capacità del bambino di percepire le emozioni e i bisogni dell’altra persona e di reagire emotivamente in congruenza con la situazione dell’altro.
Abbiamo tutti presente, come un bambino reagisce quando vede il compagno che piange, come si avvicina e cerca di portare aiuto e consolazione.
A questa età si fa sempre più forte la voglia di cooperare con i coetanei perché, per esempio, il gioco è più bello e più interessante se lo si condivide .
Nella soluzione dei conflitti, che scoppiano nel gruppo o nella coppia di partner intenti al gioco, il “patteggiamento , la mediazione, i compromessi, le controproposte, sono le modalità più efficaci che i bambini mediamente sicuri di sé utilizzano più frequentemente.
E’ ovvio che questa naturale predisposizione nei confronti dell’altro sia anche determinata dall’ambiente in cui il bambino è vissuto e vive.
Non esiste il bambino “ideale”, bensì il bambino con la sua storia, le sue caratteristiche fisiche, psichiche, emotive, la sua personalità, i suoi bisogni, i suoi interessi, i suoi limiti e le sue potenzialità.
Essere consapevoli di questa realtà , può facilitare lo sviluppo della cooperazione tra i bambini eliminando qualsiasi forma di giudizio nei confronti delle manifestazioni degli stessi, rinforzando e sostenendo le motivazioni, gli interessi e le preferenze che i bambini esprimono.
Quando l’adulto imposta la sua relazione educativa mettendo in primo piano la conoscenza della persona , allora tutti i bambini ivi compresi i bimbi disabili hanno concrete possibilità di sviluppare le proprie potenzialità e risorse in un contesto accogliente e sereno.
Tutto questo grazie a:
Maestra Laila Finistrella
Maestra Anna Zambellini
Maestra Claudia Capoccia
Maestra Nadia Muzzolon
Oepac
Daniela Nicosanti
Carmela Impegno
E a 24 angeli
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