Di seguito l’intervento integrale del commissario straordinario di Nettuno Bruno Strati durante le cerimonie di piazza per la Giornata dei Martiri della Pace, dei marinai scomparsi in mare e del 19esimo anniversario della Strage di Nassiriya.
“Cari cittadini, Gentili Autorità, Sig. Assessore di Anzio Ruggiero, Sig. Procuratore Amato, Sig. Generale Russo, Sig. Capitano De Palma, Signori Comandati delle Forze dell’Ordine e della Polizia Locale, Autorità religiose, Rappresentanze delle Associazioni Combattentistiche e dell’Arma dei Carabinieri, a voi tutti rivolgo un cordiale saluto.
Il calendario istituzionale di Novembre ci propone un’altra Giornata dedicata alla commemorazione di quanti persero la vita per la difesa degli ideali della Patria e dell’Unità nazionale.
Oggi, in questa piazza intitolata ai martiri per la Pace, la città di Nettuno celebra la “Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, dei marinai scomparsi in mare e delle vittime della strage di Nassirya”. Giornata che fu istituita con una legge del 2009 dal nostro Parlamento proprio in segno di riconoscenza verso coloro che hanno pagato con la vita l’adempimento del proprio dovere.
Qualche giorno fa abbiamo celebrato l’Unità nazionale e la Festa delle Forze Armate ed abbiamo commemorato i caduti della Prima guerra mondiale, in particolare i ragazzi del ’99 che si arruolarono, neanche diciottenni, dopo la disfatta di Caporetto per combattere a Vittorio Veneto.
Abbiamo riflettuto sull’ardore che spinse quei giovani che credevano negli ideali per cui combattevano ma anche sulle angosce che ogni guerra inevitabilmente porta con sé.
Oggi ricordiamo, in particolare, un evento molto doloroso per la nostra Nazione: la strage di Nassirya avvenuta 19 anni fa ma vogliamo ricordare anche tutti gli altri episodi in cui i nostri connazionali hanno perso la vita per portare la pace nel mondo.
La strage di Nassirya resta ancora – e lo sarà per sempre – una ferita aperta per il popolo italiano che, proprio a partire da quel tragico 12 novembre 2003, si rese conto, forse per la prima volta dall’inizio del conflitto irakeno, dell’atrocità della guerra. Fu la più grave perdita di italiani in un conflitto dopo la Seconda guerra mondiale.
Fino a quel giorno, avevamo visto in televisione, nei telegiornali, scene che ritraevano i nostri Militari svolgere con quella umanità che li contraddistingue da sempre il loro ruolo di operatori di pace, ben voluti dalla popolazione locale, ma a partire da quella data, qualcosa inevitabilmente cambiò.
I nostri soldati e tutto il popolo italiano si sentirono traditi, colpiti alle spalle dal nemico terrorista, che aveva inferto un vile colpo a danno di chi era lì per portare la pace e per aiutare le Autorità locali nella ricostruzione di quel Paese.
Il 12 novembre 2003 scoprimmo tutti di essere davvero in guerra e in una guerra spietata.
Le vittime dell’attentato di Nassiriya furono 28, di cui 19 italiani: dodici Carabinieri, cinque militari dell’Esercito, due civili. Il più giovane, un militare di 22 anni, un volontario in ferma breve. Abbiamo prima rievocato i loro nomi.
Alle 10.40 ora locale – in Italia erano le 8.40 -, un camion cisterna carico di esplosivo si lanciò sulla base italiana dei Carabinieri, provocando il massacro.
La terribile notizia giunse subito in Italia e il Paese cadde in un profondo sconforto.
Tra le vittime potevano esserci i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri amici.
Erano tutte persone che credevano nella loro missione, che avevano il desiderio di dare un senso profondo alla divisa che indossavano e al ruolo che rivestivano.
Significative furono le parole del Presidente della Repubblica di allora, Carlo Azeglio Ciampi, appena appresa la notizia: “L’Italia è andata in Iraq non per partecipare ad una guerra ma per contribuire alla ricostruzione del Paese. Questa è l’identità della Repubblica Italiana: costruire la pace”.
Ricordo il giorno dei funerali di Stato, il 18 novembre, nella Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma; le bare avvolte dal Tricolore. Ci fu una grande partecipazione di popolo, tutti con le bandiere dell’Italia ad esprimere la vicinanza ai parenti, alle Istituzioni. Quel giorno l’Italia mostrò davvero, in concreto, la sua unità nazionale.
Cosa ci insegnano questa tragedia e le tante altre che abbiamo vissuto? Che il nostro è un grande Paese, che ha saputo sempre dare prova del proprio attaccamento ai valori della pace, della democrazia, della libertà, ai valori che sono scolpiti nella nostra Costituzione.
Oggi è dunque una Giornata in cui dobbiamo fare memoria.
La memoria non può e non deve mai rappresentare un esercizio sterile, un atto formale, un adempimento istituzionale. Noi non siamo qui per routine.
Avere memoria significa conoscere il proprio passato, evitare di commettere gli errori di chi ci ha preceduto, trarre insegnamento dalle tante conquiste sociali, dai tanti progressi nel campo dei diritti che la Storia ci ha consegnato.
Ma queste conquiste, questi progressi, non sono stati gratuiti, i nostri Nonni, i nostri Padri hanno dovuto compiere grandi sacrifici per ottenerli.
Oggi consideriamo ovvio e naturale il godimento dei nostri diritti senza pensare affatto che non sono garantiti per sempre.
Se vogliamo mantenerli è necessario che tutti noi ci impegniamo perché ricordiamoci che, oltre ai diritti, abbiamo anche dei doveri.
Il mantenimento della pace, della libertà, della legalità, della democrazia richiede l’impegno di ciascuno di noi, nel proprio ambiente, a lavoro, a scuola, a casa.
Non deleghiamo i nostri doveri ad alcune categorie della società: alle Forze dell’ordine, ai Militari, alla Magistratura, alla Politica….
Gli eroi di Nassirya– Militari e civili – non si sottrassero ai loro doveri. E non dobbiamo farlo neanche noi.
Sono molto contento della presenza dei giovani in questa Giornata, anche se oggi è sabato, le scuole sono chiuse e non ci sono gli studenti.
A voi ragazzi dico: portate sempre rispetto ai vostri genitori, ai vostri insegnanti, a chiunque indossi una divisa o rivesta un incarico per tutelare la vostra incolumità e sicurezza. Mostratevi sempre grati e riconoscenti, prendete questi Uomini e queste Donne a vostro modello per un futuro che ciascuno di noi spera sia sempre migliore.
Le Forze Armate e le Forze dell’Ordine sono i nostri baluardi di civiltà che difendono quotidianamente il nostro diritto ad una vita pacifica e assicurano le condizioni di sicurezza necessari allo sviluppo della nostra società. Sono loro il presidio di legalità che è il fondamento di qualunque comunità che desideri crescere in termini sia materiali che etici e sociali.
Non diamo mai per scontato quello che abbiamo e ricordiamoci sempre che, prima di noi, qualcuno ha lottato o ha addirittura sacrificato la propria vita, per donarci oggi un Paese libero e democratico.
E voglio aggiungere anche un’altra cosa: dobbiamo essere sempre orgogliosi del nostro Paese e della nostra bandiera.
Questo è il giorno in cui tutti dobbiamo riscoprirci patriottici, nel senso indicato dall’articolo 52 della Carta costituzionale, che afferma “la difesa della Patria è un sacro dovere del cittadino”.
Oggi il termine sacro sembra anacronistico, superato, eppure i Padri costituenti lo usarono per affermare che la difesa della Patria non è solo doverosa, necessaria, obbligatoria, ma è qualcosa ancora di più: la difesa della Patria è sacra, perché la Patria è essa stessa sacra.
Spesso confondiamo l’essere patriottici, il patriottismo, con il nazionalismo.
In realtà, il patriottismo si contrappone al nazionalismo, anzi il nazionalismo è il tradimento del patriottismo.
Nazionalismo e patriottismo non sono sinonimi, non sono uguali. Con il primo prevalgono gli interessi di una Nazione sull’altra, con il secondo, al contrario, si mantengono vivi i valori morali e gli ideali che tengono insieme una Nazione e le danno vitalità.
Il nazionalismo ha causato le guerre del secolo scorso e continua a farlo ancora, come dimostra la guerra in Ucraina dove il nazionalismo russo dal mese di marzo di quest’anno sta seminando morte e orrore.
E voglio salutare il gruppo degli atleti ucraini che sono qui oggi con noi. Vi ringraziamo per la vostra presenza. I Nettunesi sono vicini a voi e al vostro popolo; hanno manifestato la loro solidarietà nella prima fase del conflitto e lo continuano a fare.
La corona che abbiamo deposto dinanzi alla stele è allora il nostro segno, umile ma tangibile, di riconoscenza verso coloro che nel passato, anche recente, si sono sacrificati in nome della pace e della democrazia. Il gesto che abbiamo compiuto vuole essere anche il segno della convinzione e dell’impegno solenne di tutti noi ad essere testimoni e paladini di valori universali e mai rinunciabili come la pace, la libertà e la democrazia.
Questi gesti li dobbiamo rendere agli eroi di Nassirya e a tutti i martiri della Pace, alle loro famiglie ma, soprattutto, cari cittadini di Nettuno, li dobbiamo a Noi stessi.
GRAZIE!