Due persone sono finite in carcere e una ai domiciliari – oltre a 4 soggetti ora sottoposti all’obbligo di firma e 3 a provvedimenti interdittivi – nell’ambito delle indagini della Guardia di Finanza della Compagnia di Nettuno sulle attività di un imprenditore di Anzio, che hanno portato in queste ore all’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Velletri che applica misure cautelari, personali e reali, nei confronti di 40 soggetti indagati a vario titolo per associazione a delinquere, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta, riciclaggio e auto-riciclaggio.
L’indagine delle Fiamme gialle della città del Tridente sono iniziate nel 2019; da essa, secondo gli inquirenti, “è emersa l’attività illecita di un imprenditore di Anzio il quale, grazie a professionisti compiacenti, aveva ideato un pacchetto “chiavi in mano” che ha permesso a diverse società della zona di evadere le imposte sui redditi, l’IVA, l’IRAP e i contributi previdenziali”.
“Gli accertamenti – si legge in una nota del comando provinciale di Roma della Guardia di Finanza – hanno preso le mosse dalla scoperta che alcune imprese, seguite dallo stesso studio di consulenza, avevano presentato le dichiarazioni ai fini dell’IVA con l’indicazione di costi mai sostenuti, al fine di maturare consistenti crediti d’imposta da utilizzare, una volta apposto il visto di conformità, per abbattere altre posizioni debitorie”.
Grazie anche alle intercettazioni telefoniche, gli investigatori hanno scoperto che l’imprenditore di Anzio, a cui di fatto sarebbero riconducibili diverse cooperative nel campo del facchinaggio – avesse rapporti d’affari con un consulente del lavoro “che, dietro lauto compenso, certificava l’esistenza di crediti in realtà fittizi”.
E gli affari sarebbero andati così bene che i due avrebbero deciso di allargarsi “incaricando una rete di collaboratori di individuare altre imprese – per un totale di 27 – intenzionate a conseguire indebiti risparmi fiscali e previdenziali”.
Le imprese coinvolte in questo “sistema” messo in piedi dai due indagati, in particolare, si occuperebbero di logistica e di pulizie. “Hanno potuto beneficiare – secondo gli inquirenti – di notevoli risparmi ai danni dei lavoratori e delle imprese concorrenti. Tali profitti venivano poi ‘ripuliti’ e reinvestiti nell’acquisto di immobili ed aziende, tra cui due ristoranti, intestati a ‘teste di legno’, per lo più familiari”.
Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati, ai fini della confisca “per equivalente”, immobili, società, disponibilità finanziarie, gioielli, orologi di pregio e autovetture di lusso per un valore di oltre 35 milioni di euro.