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Rumeno riduce in fin di vita la titolare dell’Arca Rita: “Ho pensato di morire”

Mentre ieri a Nettuno si teneva il vertice operativo delle forze di polizia contro la violenza di genere propio a Nettuno accadeva un’aggressione di una gravità inaudita, che ha messo in evidenza i limiti ancora immensi delle procedure di intervento e aiuto ad una donna perseguitata da un folle.
Ad essere aggredita è stata la titolare dell’Arca di Rita, l’Associazione animalista di Nettuno che ospita tantissimi cani in cerca di adozione. Rita a Nettuno la conoscono tutti, è una vera pasionaria degli animali, una donna generosa che ogni giorno si dedica al suo lavoro con impegno infinito che ha aiutato tante persone e che mai si sarebbe pensato potesse essere vittima di una simile ferocia.
Dieci giorni fa l’inizio di un incubo. Conosce una donna rumena e suo figlio con un cane che ha un problema di salute. Rita li aiuta, come fa con tutti. La mamma del rumeno le chiede di far lavorare il figlio, anche come volontario per fargli passare il tempo. Non le dice che l’uomo ha precedenti penali. I primi giorni passano sereni, poi lui una sera si presenta ubriaco, le urla contro e la minaccia. Rita si rivolge alle forze di polizia, segnala l’episodio e lo manda via. Lui inizia a perseguitarla, si presenta al lavoro, si presenta vicino casa, la implora di riprenderlo all’Arca, poi la minaccia ancora. Lei lo manda via ogni volta che si presenta e lui ogni volta ritorna. Ieri il drammatico epilogo. Lui si presenta di nuovo all’Arca, si sdraia per terra all’ingresso. Lei chiama le forze dell’ordine. Lui scappa. Appena le forze dell’ordine vanno via torna.
“Allora mi sono allontanata – ci racconta Rita tra le lacrime che non riesce a trattenere e con un filo di voce, mentre è ancora ricoverata sotto osservazione all’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina con le mani distrutte da morsi, graffi e da ferite ed ecchimosi alle gambe, la testa bloccata da un collare rigido – non volevo che anche le volontarie che stanno da me si sentissero in pericolo, quindi sono andata in chiesa a pregare, a Santa Maria Goretti. Quell’uomo mi ha seguito fino a li, ha detto che non mi avrebbe fatto del male, era in motorino. Io gli ripetevo di andare via, ma non mi ha dato retta. Ero con il mio cane – spiega e piange – me l’ha uccisa a mani nude. Mi ha fermato mentre ero sul furgoncino, mi ha dato due pugni in faccia e mi ha spinto di lato. Poi è salito ed è partito in direzione di Campoverde. Mi ha detto che doveva buttare via il mio telefono, così non mi trovavano più, che mi stava portando al cimitero, che mi avrebbe violentato e poi ucciso. Ha iniziato a mordermi le mani, le dita, mi ha lasciato delle ferite profonde. Non riuscivo neanche a parlare, ero senza fiato per il dolore e per i pugni che mi aveva dato, ho pensato di essere morta. Poi mentre mi minacciava ho deciso di aprire lo sportello e buttarmi dall’auto in corsa, meglio morire così che seviziata. Mi sono buttata e mi sono fatta davvero male – racconta – ma il mio incubo non è finito. Ha frenato, è tornato indietro ed ha cercato di soffocarmi. Mi avrebbe ucciso se non ci fosse stato un carabiniere dietro di noi che si è fermato e lo ha bloccato. Ha iniziato a lottare con lui… poi non mi ricordo più niente”. Poi Rita è stata soccorsa, un mezzo del 118 l’ha prelevata e portata in codice rosso in ospedale. Il carabiniere ha avuto la meglio sul rumeno che ha tentato di ucciderla, ha chiamato i colleghi. L’uomo è stato arrestato ed ora è in carcere. Ma Rita avrebbe potuto essere morta. L’uomo era stato segnalato più volte ma era ancora libero, nonostante i precedenti penali. Rita ferita e tra le lacrime ci ha raccontato la sua storia, ma poteva andare diversamente. Cosa si dive fare per fermare questi molestatori prima di essere aggrediti, rapiti, feriti, prima di veder moire il proprio cane e di subire traumi difficili da superare, a quanto pare ancora non è chiaro. “Ho paura che possa uscire – ci dice Rita ancora sotto choc – se esce mi uccide”.