“Il primo bene di un popolo è la sua dignità“. Così si esprimeva, da par suo, Camillo Benso Conte di Cavour… parole attuali ancora oggi, in una Italia in cui la più grande sfida alla quale ciascuno è chiamato ovvero avere Valori e difenderli, soprattutto quando essi sono insidiati dalla furia cieca e brutale della peggiore ideologia.
Quando si è sparsa la notizia della profanazione del Campo della Memoria di Nettuno, cimitero militare che ospita i caduti della RSI, teatro, poche ore fa, della distruzione di tre tombe e del furto di due feretri, siamo rimasti sconvolti dinanzi ad una tale, sconcertante deriva illiberale ed incivile.
E la parola “Dignità” è diventata la chiave delle nostre riflessioni, perché, la dignità (e non l’uguaglianza, con buona pace di una certa, incorreggibile sinistra), connota la morte di soldati e militanti, a prescindere dallo schieramento al quale essi appartenevano: la morte li presenta tutti – uno per uno – ad un sentimento, che dovrebbe essere comune, di rispetto per l’Essere Umano, oramai entrato nel mistero dell’Aldilà.
Infatti, da un certo momento della preistoria in poi, si è iniziato a distinguere l’Homo Sapiens dai primati che l’hanno preceduto sul pianeta, si appurerà che esso è stato il culto dei morti, contraddistinto dalla predisposizione di appositi spazi funerari, ornati con oggetti simbolici (che poi diverranno votivi), e dalla ricomposizione dei corpi secondo un rispetto che, sebbene ancora privo di connotati religiosi, aveva certamente una sua sacralità.
Si tratta dunque di una questione che concerne il fondamento stesso della Civiltà e del vivere associato.
Oltre alle manifestazioni, anche artistiche, che hanno accompagnato la rappresentazione della morte, (Egitto, Grecia, Antica Roma, Cristianesimo – una su tutte, la Pietà di Michelangelo), negli ultimi due secoli la dimensione collettiva della morte si è focalizzata sulla commemorazione dei caduti in guerra, fenomeno che in Italia ha acquisito ufficialità e connotati stabili a partire dall’omaggio al Milite Ignoto, avvenuto il 4 novembre 1921, per onorare i soldati morti nel corso della prima guerra mondiale: il passaggio della salma dello sconosciuto combattente fu salutato, per tutto il Paese, dal rispettoso ed attonito silenzio di migliaia di persone e sopì le pur feroci polemiche tra interventisti e fautori della neutralità dell’Italia.
Dalla memoria si passò poi al Memoriale, monumento, luogo fisico e luogo dell’anima, nato inizialmente come corrispettivo allegorico della figura del guerriero ed il cui supporto venne poi rinvenuto nei concetti di Patria e di Nazione, a sottolineare l’identificazione con un corpo mistico derivato dal supremo sacrificio dei suoi appartenenti.
Alla luce di queste considerazioni, dunque, profanare una tomba è un atto di abietta e brutale viltà, in tutte le epoche, a tutte le latitudini ed in qualunque contesto politico e non può essere giustificato da alcuna valutazione sulla connotazione ideologica di chi ne è bersaglio.
E’ una scelta di inciviltà assoluta e vigliacca, compiuta in un buio che non è solo quello della notte, ma di menti e cuori ottenebrati e privi di qualunque scintilla di umanità.
Per tali motivi, come “Circolo di Fratelli d’Italia – Giorgio Almirante”, non vogliamo contrapporre i caduti della RSI agli altri soldati o ai partigiani, per argomentare, in modo bieco e spietato, una sorta di “inferiorità” che giustificherebbe una mancanza di rispetto nei loro confronti ma condannando il vile gesto, confidiamo, piuttosto, che le indagini in corso permettano di individuare quanto prima i responsabili di questo vergognoso scempio e richiamiamo tutti al rispetto della Dignità, con azioni concrete e quotidiane: solo così è possibile preservare autenticamente le fondamenta della nostra società e della nostra Patria.
Circolo FdI Nettuno “Giorgio Almirante”
Il Portavoce Avvocato Fabrizio Lanzi
Il Presidente Genesio D’Angeli