La Corte di Cassazione mette in dubbio parte dell’impianto accusatorio che, lo scorso anno, ha portato a cinque arresti per l’incendio appiccato il 25 marzo 2019 allo stabilimento balneare “Il Tritone” a Lavinio, nel Comune di Anzio, considerato un gesto compiuto per inquinare la gara con cui l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati doveva assegnare il lido, confiscato all’ex esponente del Pdl ed ex amministratore delegato della Marina di Nettuno, Giuliano Valente. Accogliendo il ricorso presentato dalla presunta mandante del rogo, la 48enne Francesca Porciatti, messa prima agli arresti domiciliari e poi agli obblighi di firma, gli ermellini hanno annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico dell’indagata e disposto un nuovo pronunciamento da parte del Tribunale del Riesame.
Alla luce delle indagini svolte dalla squadra mobile di Roma e dal commissariato di Anzio, la Procura di Velletri ha ritenuto che a commissionare l’incendio sia stato Nunzio Valente, fratello dell’ex esponente del Pdl, per spaventare quanti interessati alla gara, e che la mandante fosse la Porciatti, che di fatto gestiva il lido. Un rogo appiccato da Roberto Rezzi, di Ardea, volontario della Croce Rossa, reo confesso. Lo scorso anno vennero inoltre arrestati pure due poliziotti del locale commissariato accusati di aver fatto soffiate a Valente in cambio di regali e favori. Il Riesame, a carico della Porciatti, ha valorizzato le dichiarazioni di Rezzi, che ha indicato Nunzio Valente come mandante dell’incendio, collegato all’interesse del Valente ad acquisire la gestione dello stabilimento attraverso la 48enne. Sempre il Riesame ha poi insistito sulla circostanza che Francesca Porciatti, allertata da una vicina, aveva denunciato l’incendio dello stabilimento, che, sentita in più occasioni dagli investigatori, aveva dichiarato di avere avuto, durante la gestione degli anni precedenti, problemi con il legale della procedura e “contrasti”, mai denunciati, con Giuliano Valente, di aver ricevuto lettere minatorie e di essere stata vittima di denunce anonime in merito a lavori abusivi presso la struttura, oltre che di danneggiamenti e furti. Valorizzati infine i contatti telefonici, estratti dai tabulati, con Nunzio Valente, di cui la donna non aveva mai parlato con gli inquirenti. Per la Cassazione non sono, però, “adeguatamente motivate le conclusioni alle quali il Tribunale è pervenuto in merito ai gravi indizi di coinvolgimento della Porciatti nell’incendio dello stabilimento”. Per la Suprema Corte, “il Tribunale ha esaminato un solo aspetto per sondare l’esistenza dell’interesse della Porciatti nell’incendio ed ha escluso che l’incendio dello stabilimento fosse stato preordinato dal solo Valente per indurre la donna ad astenersi dalla gara e, in costanza di un rapporto acclarato ed ammesso dalla difesa, di amicizia tra Nunzio Valente e Francesca Porciatti, ha ritenuto non verosimile che l’azione incendiaria non fosse stata concordata e, comunque assentita dalla donna”. Al fine di far accertare tale aspetto, “traendone le necessarie conclusioni ai fini della ricostruzione dei fatti e della conseguente lettura dei comportamenti della Porciatti nella fase delle indagini che ben avrebbe potuto essere stato determinato dall’esclusivo intento di tacere agli inquirenti la cointeressenza, nella gestione della struttura, di Nunzio Valente”, ordinanza dunque annullata e disposto un nuovo giudizio da parte del Tribunale del Riesame.
Incendio allo stabilimento balneare di Anzio, dubbi sul mandante del rogo
La Corte di Cassazione mette in dubbio parte dell'impianto accusatorio che, lo scorso anno, ha portato a cinque arresti per l'incendio appiccato il 25 marzo 2019