di Federico Arancio
Riapertura delle scuole, interviene a Linea Diretta Su Youngtv, il Professor Eugenio Bartolini.
Per quanto riguarda la riapertura delle scuole superiori, prevista secondo le ultime direttive governative, per l’11 di gennaio, è stato ospite negli studi di Youngtv, nella trasmissione Linea Diretta (registrata il 5 gennaio ndr) che andrà in onda giovedì 7 dicembre alle 22,30, il professore, docente di scuola secondaria, Eugenio Bartolini. Cosa ne pensa – abbiamo chiesto – della riapertura, in queste condizioni rispetto ai dati covid, delle scuole superiori prevista inizialmente il 7 gennaio ed ora prorogata all’11 gennaio?
Innanzi tutto una premessa: il mio intervento è a titolo personale e si basa esclusivamente sulla mia esperienza che possiamo definire di lunga durata nel campo dell’istruzione e della formazione. La data prescelta da tempo per il rientro, seppur parziale, degli alunni delle superiori in classe, quella del 7 gennaio, nel Consiglio dei Ministri conclusosi a tarda notte, è stata prorogata all’11. Tutto ciò è indicativo di come ci si muova all’insegna dell’improvvisazione. Del resto era preventivabile da tempo il fatto che tornare per due giorni, di giovedì e venerdì, non avrebbe avuto senso, in considerazione del fatto che i dati durante il periodo natalizio sarebbero risultati falsati dal numero limitato di tamponi e che il report settimanale dell’8 gennaio avrebbe invece fornito indicazioni più veritiere. La politica sulla scuola sembra da tempo improntata all’irrazionalità, e questo settore è diventato il terreno di scontro tra le forze politiche ed anche teatro del braccio di ferro tra governo e regioni. Gli scienziati come Ricciardi ci dicono invece che il ritorno a scuola per le superiori è sicuramente prematuro.
Pensa che la DAD (Didattica a distanza) sia efficace come metodo di insegnamento? Questo sistema didattico può essere il futuro?
La DAD è già il futuro. E continuerà a svilupparsi e ad essere utilizzata anche dopo la pandemia. Del resto da tempo le università la praticano ed è dunque positivo entrare nell’ottica di questa forma di insegnamento già dalle scuole superiori. In merito alla sua efficacia i riscontri delle indagini condotte in merito sono positivi. L’importante è non cercare di trasferire le modalità di didattica in presenza in quelle a distanza. Anzi è necessario fare l’inverso, per passare finalmente da una didattica basata sui contenuti ad una didattica fondata sulle competenze.
Pensa che le misure nelle scuole, come la presenza al 50%, siano efficaci contro il contagio?
Le scuole hanno messo in atto tutte le procedure per mettere i loro edifici in sicurezza, ma da quando ad inizio autunno la curva pandemica si è innalzata e non è stato più possibile effettuare il tracciamento dei contatti al di fuori della scuola l’unica soluzione, peraltro tardivamente decisa, è stata la didattica a distanza al 100% per le superiori. Va ricordato che la fascia d’età tra i 14 ed i 18 anni è stata identificata come quella con maggiore contagiosità. Il fatto che nella maggior parte dei casi i positivi siano asintomatici rende ancora più problematica la situazione. Non si possono aprire le scuole ora per poi richiuderle in breve tempo.
Lei ha avuto riscontri da parte degli studenti riguardo la DAD, o anche riguardo l’isolamento che gli studenti sono costretti a vivere?
Un conto è parlare di efficacia dell’insegnamento un altro è affrontare il senso della vita scolastica come comunità educante. L’elemento della socializzazione è ancora più importante del mero apprendimento in quanto forma alle relazioni in un contesto sociale più ampio di cui la scuola è sì un microcosmo ma di quel contesto è certamente la base. I giovani soffrono di questa situazione più degli adulti. Prima del manifestarsi della pandemia si parlava di un problema sempre più diffuso: quello della tendenza all’isolamento e di relazioni virtuali e non reali. La socialità si sviluppava sempre più sui social e non in contesti di realtà. Questa clausura forzata si spera possa in futuro far tornare i giovani a vivere in una dimensione concreta le relazioni umane.
Tra qualche anno gli studenti di oggi saranno preparati come gli studenti prepandemia o si sarà sviluppato un gap generazionale?
L’ottica della formazione nel nuovo millennio è mutata. Si parla ormai della necessità di apprendere durante l’intero arco della vita, per rimanere al passo con le trasformazioni sempre più veloci della società. Per questo anche la scuola deve trasformarsi. Non è più necessario fornire tutta una mole di informazioni e di conoscenze, peraltro reperibili facilmente altrove. La funzione primaria dell’istituzione scolastica deve diventare il saper orientare i giovani all’interno della società complessa in cui vivono e vivranno, innescando quella curiositas che sarà la chiave per comprendere a fondo i fenomeni, diventare cittadini consapevoli e dunque essere protagonisti del loro futuro. Ecco perché questo gap potrà non esserci se si ragionerà più sull’intensità che sulla quantità dell’insegnamento.