E’ arrivata dalla Corte d’Appello del Tribunale di Roma la decisione di confisca definitiva del patrimonio, stimato in oltre 12 milioni di euro di Fernando Mancini di Nettuno. Il provvedimento – che conferma quello di primo grado emesso a giugno del 2019 – è frutto delle meticolose indagini economico-patrimoniali dei Finanzieri del Comando Provinciale di Roma, avviate nel 2015, che avevano consentito alla Sezione Specializzata Misure di Prevenzione del Tribunale capitolino di disporre il sequestro anticipato dei beni riconducibili a Mancini e ai suoi stretti familiari e collaboratori. Mancini, già noto alle forze di polizia per precedenti reati, era finito in diverse indagini a seguito delle denunce di alcuni imprenditorie. fornitori che non erano stati pagati per la realizzazione dello Stabilimento balneare Belvedere.
Gli accertamenti delle Fiamme Gialle della Compagnia di Nettuno, coordinate della Procura della Repubblica di Velletri, avevano evidenziato la rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati al Fisco da Mancini e dai suoi stretti familiari e le ricchezze nella sua disponibilità, gran parte delle quali intestate fittiziamente a “prestanome” e familiari.
Il patrimonio, accumulato investendo i proventi delle attività illecite e costituito da conti correnti bancari, quote di maggioranza di alcune società, una lussuosa imbarcazione, una rivendita di tabacchi, 90 unità immobiliari (tra cui una stupenda villa di circa 400 metri quadrati con piscina, 41 appartamenti, 35 magazzini, garage, capannoni industriali e terreni) e dal rinomato stabilimento balneare “Belvedere”, situato sul litorale nettunense, ora passa definitivamente nella disponibilità dello Stato.
Oltre alla confisca, la Corte d’Appello ha disposto la riduzione da 5 a 3 anni della sorveglianza speciale di polizia, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. L’esecuzione del provvedimento ablativo riveste un rilevante valore sociale perché restituisce alla collettività beni illecitamente acquisiti dalla criminalità.
Mancini può ancora ricorrere al giudizio di Cassazione.
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