Il Premier Renzi, in qualità di Segretario del Pd ha scritto una lettera agli italiani all’estero per perorare le ragioni del Sì al voto referendario di dicembre. La lettera disponibile on line, spiega le ragioni del cambiamento. Uno studente di Anzio, residente all’estero, ha deciso di riapondere.
Caro presidente,
Sono uno dei tanti italiani che il 4 dicembre voterà da un paese estero e ho letto la sua lettera. Mi trovo nella capitale estone per lavorare sulla mia tesi di laurea magistrale in ingegneria, il tema è lo sviluppo urbano sostenibile. Sostenibilità, ormai indirizzo imprescindibile di ogni politica europea, non significa solo tutela dell’ambiente, ma anche inclusione sociale, pari opportunità, democrazia e partecipazione. La più ampia possibile. Tutti elementi, caro presidente, che si fa fatica a vedere nelle politiche del suo governo. In particolare gli ultimi due, che con la riforma costituzionale ne escono decisamente indeboliti.
Per questo il 4 dicembre, voterò NO.
La vostra riforma, al netto di qualche elemento positivo, sposta l’ago della bilancia tutto a favore della governabilità a discapito della democrazia. Un fenomeno visto e rivisto, in cui i cittadini, in difficoltà e spaventati, tendono a voler delegare sempre di più il potere, in cerca di qualcuno che con le mani libere, senza vincoli né opposizioni, possa trovare soluzioni immediate ai loro problemi. La storia ci insegna che questo provoca sempre delle storture. Sono convinto, invece, che la risposta alla crisi delle democrazie occidentali debba essere diametralmente opposta: aumentare gli spazi di partecipazione, integrare forme di democrazia diretta a quella rappresentativa senza aver paura dei conflitti e del pluralismo. La partecipazione non serve solo a prendere delle decisioni, serve anche a responsabilizzare, ad includere, a far tornare un popolo ad essere protagonista e artefice del suo riscatto, a realizzare quella rivoluzione culturale necessaria a rispondere alle tante crisi che vive la nostra epoca.
Entrando nel merito della vostra riforma, presidente, e premettendo che non sono di certo un costituzionalista, ma un cittadino che l’ha letta e ha ascoltato le ragioni del sì e del no, credo che se questa avesse riguardato solo l’abolizione del CNEL e il taglio di qualche poltrona, non ci sarebbe stato neanche bisogno del referendum e il 5 dicembre non avremmo un paese spaccato. Il cuore della riforma è certamente lo spostamento di molte e cruciali competenze dalle Regioni allo Stato, e il nuovo Senato. Su entrambi ci sarebbe molto da dire, ma mi limito a rispondere a quanto scritto nella sua lettera e a farle due domande alle quali non ho trovato risposta dal fronte del sì. Si sostiene che per approvare una legge ora ci vogliono anni a causa del “ping-pong” tra camera e senato. Da ingegnere sono abituato a ragionare sulla base di dati e questi ci dicono che non è esattamente così: siamo secondi solo alla Germania come quantità di leggi approvate ogni anno e la maggior parte di queste fa un solo passaggio tra le due camere. Le domande: come fanno cento consiglieri regionali e sindaci che come secondo lavoro fanno i senatori, ad occuparsi di “leggi costituzionali, referendum popolari, ordinamento, legislazione e funzioni dei Comuni e delle città metropolitane, direttive e politiche europee ecc.”? Che succede se nel Senato si forma una maggioranza diversa da quella della camera (non coincidendo sempre le elezioni regionali e comunali con le nazionali)? Non rischia di diventare sul serio strumento di ostruzione delle opposizioni?
Infine, presidente, nella sue lettera sostiene che gli italiani all’estero sono soliti ricevere “risolini di scherno a causa dell’instabilità politica”. Detto sinceramente non mi è mai capitato di sentirne. Al di là di alcuni luoghi comuni, il più delle volte simpatici e non offensivi, gli italiani all’estero nel campo della ricerca si distinguono per capacità e preparazione. Il nostro problema più grande, presidente, è il ritorno a casa. Il ritorno in un paese che si vanta di pagarci meno degli altri, che investe in ricerca e sviluppo meno degli altri, in cui gli investimenti pubblici sono quasi del tutto assenti. Un paese senza prospettiva. Qui sta il vero immobilismo dell’Italia e qui di risposte, finora, non ne abbiamo viste.
Con rispetto,
Luca Brignone