La scorsa settimana la Senatrice del Movimento 5 stelle di Latina Ivana Simeone ha presentato in Senato una interrogazione sull’annoso problema dell’allontanamento dei minori dalle proprie famiglie per motivi economici. “I genitori, cioè – dice la Simeone – secondo lo Stato, sono troppo poveri per occuparsi degnamente dei propri bambini. Ad una famiglia di Anzio – spiega – sono stati tolti nel 2012 ben 6 figli. I bimbi sono stati affidati alle case famiglia e questo costa allo Stato (valutazione al ribasso) circa 79 euro giornalieri, 2.370 euro mensili e 28.440 annui per ogni bambino. Moltiplicate per 6 e ditemi se non si potrebbe risolvere, con molto meno denaro, il problema dell’indigenza di questa famiglia e lasciare che i figli crescano con i propri genitori”. Ecco il testo dell’interrogazione: “Premesso che: il tema dell’affidamento dei minori che vengono allontanati dalla famiglia di origine, essenzialmente per motivi di ordine economico, e destinati a strutture convenzionate con lo Stato, rappresenta, in Italia, una questione estremamente spinosa di cui si sono occupati reiteratamente organi di informazione, associazioni, genitori, come anche in Senato, a fronte di un’azione di Governo a parere delle interroganti inefficace, quando addirittura inesistente, come si evince dalle plurime interrogazioni presentate sull’argomento e rimaste finora, da anni, inevase; in particolare, l’aspetto più controverso è caratterizzato dal sistematico ricorso da parte dell’autorità giudiziaria minorile allo strumento dell’inserimento in comunità del minore, mediante l’adozione di provvedimenti di allontanamento incentrati sulle precarie condizioni economiche dei genitori; un caso emblematico, tra le migliaia, è rappresentato da una famiglia di Anzio (Roma), la quale si è vista sottrarre nel 2012 ben 6 figli, il più grande dei quali aveva all’epoca dei fatti 10 anni, mentre il più piccolo solamente 2. Nonostante la Costituzione, all’articolo 31, statuisca che “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento di compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”, il Tribunale dei minorenni di Roma ha disposto l’allontanamento di tutti i figli della coppia, adducendo nel provvedimento, quale motivazione, che i minori vivevano in una situazione di trascuratezza dell’igiene personale, in un contesto caratterizzato dalla pressoché assoluta assenza del padre, mentre la madre avrebbe manifestato “estreme” difficoltà nella gestione della prole; il calvario di detta famiglia comincia nel settembre 2011, allorquando gli assistenti sociali del Comune di Anzio provvedevano ad affiancare alla madre 2 educatrici, affinché fornissero il necessario sostegno nella cura dei figli. Successivamente, i genitori venivano convocati, sulla base della relazione da queste stilata, dai Carabinieri che notificavano loro la decisione assunta dal Tribunale di Roma di procedere all’allontanamento dei figli, per destinarli ad una struttura convenzionata, a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia; la relazione prodotta dalle educatrici, faceva, innanzitutto, riferimento all’indigenza della coppia, per proseguire poi illustrando l’inadeguatezza del quartiere di residenza, che sarebbe stato “abitato da etnie differenti”; la dimora sarebbe risultata “piccola e sporca” e la madre, infine, dipinta come una persona incapace di prendersi cura dei propri figli, in quanto “non li lava abbastanza e non si preoccupa del ritardo scolastico”; a quasi 4 anni da quando è stato disposto l’allontanamento dei figli della coppia, ai genitori viene concesso di vederli per un massimo di 2 ore al giorno e unicamente all’interno della struttura ove sono ospitati i figli, e ciò nonostante una relazione essenzialmente positiva della responsabile della casa famiglia, nella quale si legge: “sin dal primo momento i bambini appaiono molto legati tra loro (…) e faticano nel momento in cui devono stare lontani. (…) manifestano un forte attaccamento ed un senso di protezione, infatti, quando qualcuno di loro ha un momento di crisi o di pianto, immediatamente gli altri intervengono e si interessano per calmarlo e tranquillizzarlo. (…) Anche durante il gioco o al momento della doccia si fatica a separarli; piangono, urlano e si chiamano. Per circa una settimana la sera piangevano per la mancanza dei genitori. Ora sono più tranquilli, ma ancora dopo vari tentativi non riusciamo a farli dormire separati. (…) I bambini chiedono spesso agli educatori in merito alla vista dei loro genitori; aspettano tutti i giorni con ansia di vederli e al momento dell’incontro con loro dimostrano felicità correndogli incontro”; una famiglia distrutta semplicemente sulla base di una relazione scritta da 2 educatrici, piena parrebbe di imprecisioni e falsità, come è stato documentato da diversi servizi televisivi, che si sono interessati alla questione, che ha separato, quasi in maniera incontrovertibile, ad avviso delle interroganti, i figli dai propri genitori, causando un dolore, nonché un trauma difficilmente sanabili, senza contare che al Comune di Anzio la permanenza dei 6 bambini nella struttura in questi anni è costata quasi un milione di euro. Il giudice minorile, stante la prolungata permanenza dei bambini presso la casa famiglia, avrebbe indirizzato i genitori a consentire un affidamento etero familiare; in alternativa, si sarebbe proceduto alla trasmissione degli atti al pubblico ministero, affinché fosse intrapreso l’iter di apertura dello stato di adottabilità dei minori. L’eventualità che i figli fossero restituiti ai legittimi genitori pare non sia stata minimamente presa in considerazione, sebbene fossero, nel frattempo, venuti meno i requisiti di ordine economico alla base del provvedimento di affido; considerato che: la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata il 20 novembre 1959 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ed in particolar modo gli artt. 3, 9 e 27, statuiscono che il fanciullo deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre. Auspicando, inoltre, che alle famiglie numerose siano concessi sussidi statali o altre forme di provvidenze per il mantenimento dei figli, e che gli Stati si impegnino affinché le strutture responsabili della cura e della protezione dei fanciulli siano conformi ai criteri normativi fissati dalle autorità competenti, segnatamente ai campi della sicurezza e dell’igiene, nonché per quanto attiene la consistenza e la qualificazione del loro personale, come anche siano predisposte misure idonee a consentire un adeguato controllo. Altresì, viene sancito che l’interesse superiore del minore deve costituire oggetto di primaria considerazione in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale e tribunali, e, quindi, che sia salva la possibilità per i genitori di presentare ricorsi contro la decisione all’autorità giudiziaria; la legge 4 maggio 1983 n. 184, recante la disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, così come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che ha recepito la Convenzione de L’Aja per la tutela dei minori, ribadisce il principio fondamentale per il quale tutti i minori hanno diritto a crescere ed essere educati, per quanto possibile, in seno alla famiglia di origine, riaffermando il fondamentale ruolo nel rapporto genitoriale derivante dallo status filiationis; la legge n. 149 del 2001, ancora, nell’avvalorare ulteriormente il contenuto della legge n. 184 del 1983, rispetto al “diritto del minore a crescere e ad essere educato nell’ambito della propria famiglia”, ha sancito che “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia”; ed ancora, all’art. 4, comma 5, viene stabilito che “l’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore”; pertanto, sebbene sulla base di detta legge n. 149 del 2001 sia statuito il divieto di separare i figli dai genitori per motivi economici, si rende necessario richiamare, in questa sede, che la quasi totalità delle motivazioni afferenti all’allontanamento del minore, anche se non espressamente dichiarate, trova il suo perno nelle disagiate condizioni economiche “stante la temporanea assenza di un ambiente familiare idoneo”, scavalcando l’interesse preminente del minore che viene, anzi, trascurato al punto tale che la percentuale di minori di età compresa tra 0 e 2 anni, affidati alle strutture, si attesterebbe intorno al 61 per cento. Un’alternativa che non terrebbe conto delle accertate conseguenze negative arrecate dalla mancanza di cure genitoriali allo sviluppo del minore. Inoltre, la durata dell’affidamento come disciplinata dalla normativa vigente risulterebbe non poter eccedere i 24 mesi e, comunque, dovrebbe sempre essere commisurata alla durata del percorso di sostegno alla genitorialità che i servizi sociali dovrebbero avviare di ufficio. Tuttavia, il Tribunale dei minorenni può, laddove ne ravvisi l’esigenza, prorogare il periodo di custodia, contribuendo, in questo modo, a determinare una permanenza media per bambino, all’interno delle strutture, di circa 3 anni. Tenendo in debita considerazione che circa un terzo dei congedi dei fanciulli si configurerebbe quale trasferimento in altra struttura; sulla base delle dichiarazioni rese dal vice ministro al lavoro Guerra in sede di discussione dell’atto di sindacato ispettivo 2-00373, presentato alla Camera dei deputati in data 13 febbraio 2014, la spesa sostenuta dallo Stato per ogni bambino sarebbe pari a 79 euro giornalieri, 2.370 euro mensili e 28.440 euro annui, per un totale complessivo di spesa pari a 560 milioni di euro, in netto contrasto con i circa 50 milioni di euro erogati a sostegno delle famiglie. Le strutture di accoglienza, pertanto, pur disponendo di una retta media giornaliera nazionale erogata ad ogni struttura di circa 80 euro, si presentano di sovente inadeguate, nonché carenti nei requisiti professionali del personale che vi presta servizio, inficiando, in tal modo, il corretto funzionamento delle stesse; ulteriormente pregiudicato dalla penuria di azioni di monitoraggio e dalla totale assenza di rigorosi meccanismi di controllo, ispezione e vigilanza sull’operato delle strutture, in netto contrasto con le disposizioni previste dalle suddette leggi; la difficoltà di effettuare i dovuti controlli, inoltre, sarebbe compromessa anche dall’assenza di un censimento delle strutture, come invece previsto dalla legge n. 149 del 2001, in conformità con le dichiarazioni rese dal vice ministro Guerra, implicando che, ad oggi, non solo non si dispone di un registro nazionale delle case famiglia e delle famiglie affidatarie sul territorio nazionale, ma che mancherebbero anche tutte le necessarie indicazioni relative alla qualità dei servizi offerti, dei progetti proposti e dei criteri di selezione del personale impiegato. Tant’è che in più occasioni sarebbero stati segnalati casi di incompatibilità, giacché diversi giudici onorari, che avrebbero attivamente partecipato alle decisioni inerenti l’affidamento, sembrerebbero esser poi risultati membri, presidenti e finanche fondatori di strutture destinate ad ospitare i minori, lasciando supporre l’eventualità di forti conflitti di interessi; considerato inoltre che a parere delle interroganti: a fronte di questi casi emblematici si ritiene necessaria, quindi, una seria riflessione sull’efficacia ed efficienza delle case famiglia per minori, nonché circa le procedure di affidamento e dei criteri con cui vengono affidati i minori allontanati dalla famiglia di origine, laddove norme con valore essenzialmente programmatico sarebbero rimaste solo parzialmente attuate, venendo essenzialmente meno l’impegno delle istituzioni a sostenere con interventi economici i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono dei minori e consentire agli stessi di essere educati e cresciuti all’interno della propria famiglia. Invero, occorre sottolineare come in questi anni sia stato disposto un consistente taglio al fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza (istituito con la legge n. 285 del 1997) per il periodo 2014/2015, rispetto a quanto stabilito nella legge di stabilità per il 2015, nonché apportato un taglio strutturale per il funzionamento dell’ufficio dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza rispetto a quanto originariamente previsto dalla legge istitutiva (legge n. 112 del 2011); si evidenzia, pertanto, uno squilibrio abnorme, e del tutto ingiustificato, nella distribuzione dei fondi pubblici: destinare la quota annuale alle famiglie, anziché alle strutture, consentirebbe ai genitori di far fronte alle esigenze economiche ed evitare il trauma della separazione e dello smembramento della famiglia. Infatti, l’analisi dei vari dati sui minori affidati o in strutture residenziali confermerebbe quanto emerso alla Conferenza nazionale per l’infanzia e l’adolescenza di Bari (27-28 marzo 2014), vale a dire “che il sistema Italiano di tutela del diritto alla famiglia è caratterizzato da forme di intervento “tardo-riparative” (…) Occorre mettere in conto strategie di “riposizionamento del sistema”, che, senza disconoscere il bisogno di interventi di protezione e cura dei minori esposti a situazioni gravemente pregiudizievoli, sappiano sempre più intervenire prima, prevenendo l’aggravarsi delle problematiche familiari fino, ove possibile, a prevenirne la stessa insorgenza”, si chiede di sapere: se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali provvedimenti di competenza intenda adottare per implementare e rafforzare le politiche di welfare e di sostegno alle famiglie, al fine di ovviare alla forte discrepanza relativa ai consistenti fondi destinati alle strutture di accoglienza; quali iniziative intenda intraprendere il Ministro della giustizia al fine di verificare la sussistenza di eventuali condizioni di incompatibilità all’esercizio dell’incarico di giudici onorari, previste all’art. 7, punto 6, della circolare relativa alle nomine e status dei giudici onorari minorili disposta dal plenum del Consiglio superiore della Magistratura del 5 maggio 2010; se non intenda il Ministro della giustizia adottare tutte le opportune misure di competenza, quali l’avvio di azioni ispettive o, d’accordo con il procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione, che sia intrapresa l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati onorari che, non attendendo alle disposizioni della suddetta circolare, assumono provvedimenti che separano i figli dai genitori per motivi economici, in palese contrasto con l’art. 1 della legge n. 149 del 2001, nonché in una condizione di evidente conflitto di interessi; quali provvedimenti intenda adottare il Governo per verificare la correttezza e la trasparenza di tutti gli operatori che partecipano all’intero iter procedurale dell’affidamento, per evitare che abbiano a ripetersi situazioni come quelle esposte in premessa; quali provvedimenti il Governo intenda intraprendere per garantire il fattivo esercizio dei poteri di vigilanza e controllo conferiti al Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, ed anche ai Garanti regionali come previsti dalla legge 12 luglio 2011, n. 112; se il Governo non ritenga, a fronte delle articolate e diverse normative regionali, di dover istituire un organo di coordinamento nazionale, che risolva, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica e da individuarsi all’interno delle amministrazioni già esistenti, tra l’altro, anche il problema del censimento delle strutture”.