Rispetto ad un video inchiesta anonimo, pubblicato sui social, in cui si parla della situazione di sfruttamento sul posto di lavoro di tre persone che da dieci anni prestano servizio nella Ristorazione tra Anzio e Nettuno a 20, massimo 25 euro al giorno, per 10 o 13 ore di lavoro, senza prospettive per il futuro e spesso trattati anche senza riguardo o con vera maleducazione, hanno detto la loro due consiglieri comunali di Anzio, Luca Brignone, di Alternativa per Anzio e Flavio Vasoli, della Lista del Sindaco, con due visioni della situazione diametralmente opposte. Brignone parla apertamente di ‘schiavi’, Vasoli guarda alle opportunità ricevute come cameriere anche lui, prima della Laure, in quello che è stato una parte del percorso di vita e non, come invece accade a chi è stato intervistato nel video, come lavoro di una vita, senza alcun diritto, a partire dai contributi, le ferie, la malattia.
“Ieri sera mi è stato girato questo breve documentario amatoriale. Non conosco l’autore – scrive Brignone – ma lo ringrazio infinitamente. Getta una luce sul grande rimosso della nostra economia delle nostre città: il mito del turismo come petrolio d’Italia è sorretto da un esercito di schiavi.
Abbiamo invocato per anni politiche di marketing territoriale, brand urbani, abbiamo fatto a gara tra due comuni limitrofi per chi portasse maggiori affluenze turistiche, per chi realizzasse eventi più spettacolari, per chi mettesse luci più splendenti, investendo centinaia di migliaia di euro di risorse pubbliche ogni anno. Ci siamo mai chiesti a chi giova realmente questa economia turistica? Quali sono le sue conseguenze, i suoi impatti? Abbiamo sempre oscillato tra il sano orgoglio di vivere in una città attrattiva e accogliente, e l’insofferenza rispetto alle invasioni estive dal sapore coloniale: traffico, congestione, rifiuti, ‘movida’ ecc. Al massimo ho sentito ragionamenti sul tipo di turismo da attrarre (invocare, per intenderci, il nostalgico turismo d’elité con una vena classista neanche troppo nascosta). Raramente ho sentito qualcuno riflettere, nelle nostre città, sulle conseguenze economiche e sociali del turismo e questo breve documentario finalmente prova a farlo.
L’economia turistica, così quella del commercio e della ristorazione, è un’economia a basso valore aggiunto, bassi salari ed elevata precarietà. Alimenta soprattutto il circuito di accumulazione della rendita urbana e rappresenta il principale adattamento alla crisi strutturale dell’edilizia, riproducendone appunto alcuni dei più importanti vizi.
Non sto sostenendo che il turismo sia sbagliato e vada combattuto tout court. Così come non si può far passare il messaggio che tutti gli esercenti siano dei padroni schiavisti. Sarebbe una lettura facile ma la realtà è molto più complessa. All’interno di questo sistema un imprenditore onesto avrebbe difficoltà a regolarizzare al 100% i suoi dipendenti: o hai altre entrate o vieni schiacciato dai costi e dalla concorrenza selvaggia. È una questione di leggi da un lato e di cultura dall’altro. Manca un intervento istituzionale (ad esempio tassiamo molto le imprese e poco le rendite, non si fanno i controlli), ma manca un intervento dei sindacati e dei corpi intermedi, manca la consapevolezza del problema prima di tutto. A 17 anni guadagnare 30/40 euro al giorno in nero ti fa comodo, ma nessuno ti dice arrivi a 30 e sei uno schiavo. Questo documentario lo fa, quindi di nuovo, ringrazio lo sconosciuto autore”.
Di seguito la riflessione di Flavio Vasoli.
“Un video fa esplodere la polemica sul lavoro in nero nella ristorazione e si porta dietro commenti sull’utilità del turismo del nostro litorale, sommessamente dico la mia.
L’argomento meriterebbe un approfondimento serio, scevro da qualsiasi ideologia e non un servizio senza contraddittorio e senza approfondimenti.
Non è mia intenzione dare delle sentenze sulla base di una visione molto parziale del mondo del lavoro in nero, che non è “usanza” solo di alcuni ristoratori, ma di tante categorie professionali a partire dall’agricoltura per finire all’edilizia, dove incidono fortemente anche le morti sul lavoro.
La voglio affrontare da un punto di vista diverso, quello della mia esperienza da ragazzo che poi è l’esperienza di tantissimi miei coetanei che nel turismo estivo vedevano un’opportunità per emanciparsi o per aiutare la propria famiglia.
A 16 anni e per 3 stagioni ho fatto lo spiaggino in uno stabilimento balneare.
Un lavoro molto faticoso con turni da 12 ore.
Oltre la fatica, che a quell’età si superava anche con sole tre ore di sonno, sono i tanti ricordi belli della prima esperienza lavorativa, dai rapporti con i clienti che in alcuni casi sono rimasti ancora amici, all’indipendenza economica, che mi ha permesso di comprarmi il mio primo scooter e togliermi alcuni sfizi che diversamente non potevo avere, nonché il valore del sacrificio del lavoro.
Successivamente ho proseguito per anni con altri lavori nel mondo della ristorazione, che mi hanno permesso di pagarmi l’università senza pesare sulla famiglia.
Anche di queste esperienze porto dietro un ricordo estremamente positivo, dove ho imparato tante cose di un mestiere che non conoscevo.
I miei datori di lavoro sono sempre stati gentili e rispettosi, sarò stato fortunato?
Non credo.
Sono stato sfruttato?
Non credo.
Per quello che sapevo fare ho ricevuto una congrua paga e qualcuno ha investito su un principiante insegnandomi un mestiere, che poi è un’esperienza che ti porti dietro.
Ho voluto raccontare la mia storia, che è anche la storia di tanti altri ragazzi che nascono in località turistiche che in alcuni periodi offrono lavori saltuari.
La ristorazione Anziate è stata da volano per il turismo di questa città ed ha trascinato dietro di sé molte altre attività, gelaterie, bar, negozi di vestiti, stabilimenti, settore alberghiero, alimentari, forni, e tutte le attività che grazie a questo brand hanno risollevato la loro economia.
Ne è prova il centro che non ha più una serranda abbassata, come accadeva qualche anno fa.
Questo lo voglio dire a chi si chiede a chi giova questo turismo, a chi parla di agevolazione della “rendita urbana”, a chi non si è mai messo nei panni e nelle difficoltà dei nostri imprenditori.
E dicendo questo non voglio nascondere i problemi che esistono.
Anzi credono vadano affrontati con la dovuta serietà.
Non si può ridurre il tema dello sfruttamento nel mondo del lavoro a mera propaganda, né banalizzare le analisi.
Il lavoro nero ha radici profonde, rimane un problema culturale, anche frutto di politiche governative poco condivisibili e saremo ipocriti a vedere solo la punta dell’iceberg, come ci mostra questo video.
Non possiamo sicuramente ridurci a dare la colpa solo al reddito di cittadinanza, che ha comunque fortemente influito sull’andamento del lavoro, come non possiamo banalizzare il problema del lavoro in nero come è stato fatto emergere da questo video”.