Lontani anni luce dalla comicità classica e dal teatro tradizionale, Alessandro Bergonzoni e Antonio Rezza arrivano a Bologna, per la Repubblica delle idee, sabato 15 giugno alle 20.30 in piazza Maggiore. Un dialogo senza paracadute fra l’attore bolognese e il performer-autore, Leone d’oro alla carriera alla Biennale Teatro 2018, assieme a Flavia Mastrella. Li abbiamo incontrati per qualche anticipazione in questa intervista doppia.
Cosa succederà sul palco di piazza Maggiore?
Bergonzoni «Faremo i complimenti, almeno io voglio farli ad Antonio. Di solito si dice non fare complimenti, invece una volta facciamoli. Parlerò della piazza Maggiore che per me è il cielo in testa e cercherò di dimostrare algebricamente quanto Antonio sia il nuovo sopra il sole. La politica la sfioreremo se non sarà già sfiorita, si parla troppo di futuro, mai di infinito e di eterno, questo lo sottolineerò. Ecologia forse, nuove piantagioni di “melo aspetto” e “melo immagino”. Saremo bitonali».
Rezza «Non so cosa succederà in piazza incontrandoci io e Alessandro, perché siamo due persone che danno un significato importante alla parola, in un momento in cui la parola viene usata spesso con parecchia superficialità: sicuramente ci divertiremo, io penso che uno sarà l’innesco dell’altro e l’altro sarà innesco dell’uno. Non so, in meno di un’ora, quanto le nostre velocità potranno fornire la nostra accelerazione consueta, ma da parte mia è già una cosa così bella incontrarmi con Alessandro che se anche andasse male sarebbe lo stesso un gran successo».
Il titolo dell’edizione di quest’anno della Repubblica delle idee è “Generazione futuro. Più inclusione, più Europa”. Cosa è per voi l’Europa?
Bergonzoni «Ultimamente dico sempre neuropatia, dentro la parola neuropatia c’è Europa, nervi scoperti. Siamo ancora qui giustamente a parlare di Europa? Io sto cercando “Europii” per fare diventare l’Europa un Euoroporto. Io nasco chissà dove, quante volte, figuriamoci. Amo le linee di non fine e quindi gli universi che hanno dentro anche la parola versi, poesia. Forse l’Europa dovrebbe essere un grande porto sempre aperto».
Rezza «Io non so esattamente cosa sia l’Europa, non so cosa sia l’Italia. Come dico sempre, noi nasciamo per sbaglio e non decidiamo dove nascere, il patriottismo, quindi, mi sembra davvero un atteggiamento assai primitivo. Non posso dire che sono di qui quando non lo ho deciso io, non posso dire che sono italiano o europeo perché non ho deciso di nascere dove sono nato. Posso decidere a malapena, se mi auto sopprimo, dove morire. Ma l’appartenenza è qualcosa di davvero arretrato così come il confine è una restrizione del pensiero. Dunque, Italia, Europa, insomma! Non siamo niente, ci trastulliamo e diamo significato ai nostri poveri corpi attraverso i confini nazionali, poi ci pensa la galassia a fare giustizia».
Cosa significa oggi fare teatro, fare ridere, far partecipare, fare emozionare e pensare?
Bergonzoni «Fare teatro mi sta abbastanza stretto, non mi basta e non mi basto, mi piace più il “tealtro”. Il “tealtro” sembra sempre che sia un tema di parole ma non lo è: raccoglie, mette dentro di sé, annette tutto quello che è annettibile, se si può dire. Ridiamo, ridiamo pure, purché restituiamo. Rezza, essendo il numero uno, mi fa sperare nel concetto futuro di vicinanza esasperata e credo anche che si possa diventare “altristi”, chissà se riusciamo a raccontarcelo e a crederci. Io lo credo».
Rezza «Oggi fare teatro non significa di più rispetto a farlo ieri, il teatro è qualcosa di ascetico, è ancora un territorio più libero rispetto al cinema, girano meno soldi, quindi c’è una possibilità di rimanere incorrotti per più tempo. Cosa significa far ridere? Il riso è un propellente puro, è quell’energia che mette in moto anche chi fa le cose, io non saprei stare senza sentire ridere chi è di fronte, non deve essere un riso di circostanza o di battuta. Adoro gli spettacoli di Alessandro perché mi perdo mentre li vedo, mi perdo tanto, e quando uno perde quello che l’artista fa, vuol dire che l’artista ha lavorato in modo corretto sia verso se stesso che nei confronti del pubblico. Non mi piace la comicità che capisco prima, non mi piace chi lavora per me, chi lavora per me allora dovrebbe essere stipendiato da me. Di fatto chi lavora per me, spesso, e mi riferisco al pubblico, ha più soldi di me, quindi perché lavora per me se ha più soldi di me?».
Voi e la lingua italiana, con la quale giocate e avete duelli pacifici.
Bergonzoni «La lingua esce come tutte le lingue ma non può mai scappare se non a cavallo del pensiero, alato. La lingua italiana mi limita e in un certo senso sono limitato anche io perché nessuno mi traduce, sono un po’ “provatello”, sono un “provatello” di questa ossessione di abito che mi sta davvero strettissimo. La lingua italiana o bacia o vive di pensiero o è meglio salmistrarla con l’indimostrabiliante».
Rezza «La lingua italiana è qualcosa di prezioso, però questo splendore viene perso attraverso l’assunzione di neologismi che servono soltanto a involgarire il concetto. La lingua italiana è importante, basta non sporcarla con le sigle, coi neologismi e soprattutto con le parole che spesso arrivano dall’America. La lingua italiana è bella però rischia la volgarizzazione, ma in fondo ognuno la usa come vuole. Questa domanda sull’italiano…ma non saprei, forse sull’italiano sono impreparato».