Non diciamo il nome di una delle commercianti della zona di via Gorizia a Nettuno che da due anni circa vive, insieme ai residenti e a tanti colleghi, la situazione di disagio legata al palazzo pericolante e alla chiusura della viabilità e che vuole dire la sua sulla situazione che si è venuta a creare. Il danno economico, evidente, ma anche la paura concreta che il palazzo possa cadere. “La situazione a via Gorizia – spiega – è assurda e invivibile. Ho investito nel mio negozio, e da quando la strada è chiusa ho dimezzato gli incassi e andare avanti è davvero difficile. Devo letteralmente contare i soldi e non faccio spese neanche per il mio bambino, ogni euro che entra serve per la sopravvivenza e per pagare un legale che ci tuteli per far capire cosa stiamo subendo. Molti credono che il palazzo sia stato chiuso ma che non ci sia un reale pericolo, ma è una falsità. Il palazzo è a rischio crollo, lo dice la relazione dei Vigili del fuoco, che ho acquisito chiedendo gli atti al comune e lo dicono le foto che fanno vedere il collasso interno del palazzo. Il pericolo c’è ed è concreto. Abbiamo paura di cosa possa accadere, e al contempo non riusciamo più a vivere e a lavorare decorosamente. E ci sentiamo comunque soli in questa battaglia. L’Amministrazione sta facendo i suoi passi, sicuramente ci sono i tempi di legge, ma noi siamo da due anni in attesa di una soluzione e nessuno viene neanche a parlare con noi. Abbiamo anche chiesto un incontro con il Sindaco ma siamo stati trattati come cittadini che hanno problemi ordinari e non come persone vittime di una particolare situazione di disagio che crea danni materiali ma anche morali enormi. Ci sarebbe piaciuto essere ascoltati, capire che il Comune è dalla nostra parte. Dal canto mio mi sono rivolta al Prefetto di Roma ma anche alla Protezione civile nazionale. Tutti mi hanno risposto e chiesto ulteriori informazioni e foto. Ho inviato la documentazione a tutti e spero che in tempi ragionevoli la situazione si sblocchi, ma di quello che accade c’è chi dovrà rispondere, anche del fatto di averci praticamente abbandonato a noi stessi”.