RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
La ‘ndrangheta ad Anzio e Nettuno, sotto forma di locale riconosciuta dalla “casa madre” di Santa Cristina d’Aspromonte, esiste. Lo ha stabilito la sentenza di primo grado del Tribunale di Velletri al termine del processo “Tritone”, derivante dalla maxi inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che, nel 2022, scoperchiò la presenza di una vera e propria ‘ndrina sul litorale sud capitolino e portò allo scioglimento dei due comuni.
Le condanne più pesanti sono state inflitte a Giacomo Madaffari e Davide Perronace, considerati i “capi” della locale di ‘ndrangheta che avrebbe conquistato il litorale laziale nel corso degli ultimi anni, intrecciando i propri affari anche con la politica. Al primo, classe 1956 di Santa Cristina d’Aspromonte, i giudici hanno inflitto 28 anni. Al secondo, classe ’74 di Nettuno, 20 di carcere.
Tra le condanne (oltre 20 per un totale di circa 125 anni di carcere) anche quella a 3 anni per l’ex Brigadiere dei Carabinieri in servizio presso il Nucleo Operativo della Compagnia di Anzio, Elia Rillo. Avrebbe fornito un costante contributo per l’operatività dell’associazione, mettendo a disposizione informazioni coperte dal segreto e utilizzate per eludere le investigazioni.
I giudici hanno riconosciuto sia l’associazione a delinquere di stampo mafioso che l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, accogliendo l’impianto accusatorio dei PM Giovanni Musarò e Alessandra Fini.
In base a quanto emerso dalle indagini, i clan della ‘ndrangheta puntavano a “colonizzare” il litorale romano, e per rafforzare il proprio potere sfruttavano la consolidata capacità di importare ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America, per poi infiltrarsi nelle amministrazioni locali attraverso la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori, da quello ittico alla gestione e smaltimento dei rifiuti.