Home Cronaca Pronto soccorso, 110 visite, ogni ora vale un giorno

Pronto soccorso, 110 visite, ogni ora vale un giorno

Un problema di salute passeggero è stata l’occasione, nei giorni, scorsi, per passare un pomeriggio al Pronto soccorso dell’Ospedale di Anzio. Quale migliore occasione per rendersi conto del lavoro della struttura ospedaliera che in questo periodo nel mirino di una politica in passato disattenta, criticato per le lunghe attese all’ingresso e subissato di richieste di assistenza (si va oltre i 100 interventi ogni giorno con picchi di 150).

Arriviamo alle 17 e siamo subito “schedati” al Triage. E’ un momento tranquillo e in pochissimo tempo l’infermiera avvia la cura del caso. Mentre inseriscono i nostri dati arriva una donna incinta con i piedi gonfi (non daremo dati sensibili di chi abbiamo visto entrare e uscire a tutela della privacy e per lo stesso motivo non indicheremo il giorno della visita). La signora incinta entra subito e viene assistita. Mentre siamo ancora seduti a fornire nome e cognome arriva anche un cardiopatico che lamenta dolori addominali. In pochi minuti vengono controllati i parametri vitali che, fortunatamente sono buoni. Subito controllato anche lui, forse un’indigestione. Nel frattempo (siamo ancora in attesa di finire l’inserimento e i motivi li abbiamo sotto gli occhi) un minore accompagnato dai genitori che deve togliere una cannula al braccio (aveva fatto una terapia con flebo) bussa insistentemente al vetro. Deve aspettare qualche minuto, dentro ci sono due emergenze. E bussa, e bussa. Viene servito anche il bambino impaziente in meno di 10 minuti. Appena si apre la porta entra un uomo con un polso gonfio. Ha avuto un incidente domestico qualche giorno prima e gli fa male. Perché non è andato dal medico di base? – chiede l’infermiera che nota non si tratti di un’urgenza. “Ci ho litigato – replica l’uomo”. Entra anche lui. Chiede una prescrizione che non si può fare, poi viene introdotto nel pronto soccorso e resta in attesa per la lastra. Intanto gli viene somministrato un antidolorifico. Arriva un uomo che perde sangue dal naso, schedato e in attesa, non sembra grave ma vai a sapere. Gli operatori all’interno intanto trovano un posto letto presso l’ospedale di Nemi per un uomo anziano da 4 giorni in attesa in pronto soccorso. E’ anziano ed è debole, non ha un preciso problema di salute (e il pronto soccorso di certo non può approfondire i suoi eventuali problemi, ma solo controllare i parametri vitali) ma non si può mandare a casa. Come lui ci sono altri 12 anziani, arrivati per un leggero malore e in attesa di un ricovero in altra struttura. La famiglia dell’uomo rifiuta il ricovero, Nemi è scomoda da raggiungere. Resterà al Pronto soccorso, su una barella e senza alcuna comodità né cura per chissà quanto ancora. Le infermiere presenti fanno i prelievi al cardiopatico con il malore. Poi all’improvviso si apre la porta del 118 e arriva una donna con l’ambulanza. E’ svenuta e sta male. Questa è un’emergenza. Ha avuto dei rigurgiti e dolori forti. Per poter fare le analisi viene sedata e assistita con cura e dedizione. La questione è seria tutti gli altri devono attendere. Quindi arriva un uomo con i dolori da colica renale, anche lui entra subito. Sono le 17,45 e sembra passata una vita e mille persone. In alcuni luoghi il tempo ha un valore diverso, al pronto soccorso ogni ora è un giorno intero. I medici e le infermiere non si fermano un attimo sono decise con tutti e gentili nonostante il caos e molti maleducati che pensano di essere gli unici a stare male.

Quindi arriva una donna con una bimba di 5 anni, dice che ha la febbre a 40. L’infermiera del triage la misura in due secondi, in realtà ha 35,5 e non si può chiamare il pediatra per una febbre che non c’è perché ci sono 4 parti aperti al reparto di sopra. “Ci vogliono ore di attesa – spiega l’infermiera – non c’è alcuna emergenza per queste cose si va dal pediatra”. “Si rende conto che muoiono i bambini con la febbre” replica la mamma. Eppure la bimba ha 35,5 non piange e non sembra avere altri problemi. La signora è di Aprilia ed è venuta fino ad Anzio perché ad Aprilia il pediatra all’ospedale non c’è.  La signora e la bimba vanno in sala di attesa pediatrica. Arriva un’altra bimba con i genitori. Ha messo il piede su un riccio e le sono rimaste le spine sotto la pianta del piede. L’infermiera spiega cosa fare (torni a casa compri una soluzione disinfettante, metta il piede ammollo e le spine lentamente usciranno, non è un’emergenza non si può fare molto al Pronto soccorso) i genitori e la piccola vanno via tranquillizzati. L’uomo con la colica dopo i primi controlli viene attaccato ad una flebo, mentre viene registrato le persone continuano a bussare al vetro, ininterrottamente.

Un uomo arrogante bussa con insistenza “ho lasciato i bambini alla babysitter e devo entrare subito” urla e passa nei locali per portare qualcosa a qualcuno. Ignaro e menefreghista della signora arrivata con il 118 e di tutti gli altri che sono li da ore in attesa.  Quindi arriva un ragazzo straniero con una ferita alla mano, dice che se l’è fatta oggi ma è vecchia di giorni, gli fa male e viene subito curato anche lui. Quindi arriva un uomo in stato di agitazione. Una sua amica ha preso troppe pasticche, ha chiamato la polizia e l’ha portata al pronto soccorso. La donna è in cura al Cim, ha preso una dose eccessiva ma non letale delle sue prescrizioni “volevo dormire spiega”. La situazione non è seria e la donna viene restituita alle cure della famiglia. Altri continuano a bussare al vetro, sono tutti impazienti, non tutti con un valido motivo.

Entra un uomo vittima di un tamponamento a Roma, ha dolori a spalla e gambe ma nulla di grave. “Ci sono ore da aspettare – spiega l’infermiera – non è un’urgenza”. Ci sono 40 persone in attesa nessuna è una vera urgenza. Entra un ventenne con un trauma distorsivo alla mano, anche lui dovrà aspettare. Entra un anziano, dietro di lui le persone in attesa anche da ore (per questioni non serie) chiedono quando tocca a loro, quanto c’è da aspettare. Tutti insistono, chi si lagna, chi alza la voce. In sala ci sono i casi più gravi. C’è da aspettare. Molti si lamentano, aspettare non piace a nessuno e fa caldo, ma dentro nessuno è in relax. Si lavora a ritmo serrato e non ci si ferma un attimo. Arriva un ragazzo, tossisce ed esce sangue. Può essere una cosa seria ed entra subito per i controlli. Anche lui non è un’urgenza, avrebbe dovuto andare dal medico di famiglia e farsi prescrivere delle lastre, ma il pronto soccorso non chiude le porte a nessuno. Per lui sarà chiesto il ricovero.

Quindi arriva la polizia. Chiedono della paziente che ha preso troppe pillole. Sta bene ed è stata riattivata alla famiglia, ma il suo amico agitato li aveva chiamati perché pensava ad un tentato suicidio. La polizia prende i dati e va via. Ci sono persone ricoverate con dolori addominali da prima delle 17. Hanno fame ma non dovrebbero mangiare. Alla fine avranno il pasto anche loro. Un uomo di 72 anni, arrivato alle 15,20 dopo una caduta in un cantiere finisce le analisi, ha un trauma cranico e cervicale. Era li per caso, non ci lavorava al cantiere… resta in osservazione. Un altro malato in attesa da giorni rifiuta il trasferimento a Nemi, i familiari non hanno la macchina e non possono andare a trovarlo. Anche lui resta al Pronto soccorso. Senza cure specifiche, senza comodità. In attesa.

Un malato oncologico in serie condizioni, anziano, viene accudito dalla moglie. La donna lamenta che dovrebbe essere pulito meglio ma è molto calma e gentile. Il medico le da ragione e si scusa, ma c’è tantissima gente, non si riesce a fare tutto quello che si dovrebbe per tutti. La moglie del malato oncologico, medico anche lei, si guarda intorno e capisce. Con il medico di turno organizza il trasferimento in una struttura di Albano per la lunga degenza. “Mio marito è stato un uomo attivo e felice – dice al medico – deve stare in una situazione decorosa, capisco che qui non si può far nulla”. C’è tanta umanità a volte, anche nei dolori più grandi.

Arriva una bimba che strilla, ha la congiuntivite che probabilmente ha preso al mare. Subito in sala ma deve attendere, ci sono 4 parti aperti, 4 bimbi che possono nascere da un momento all’altro ed hanno la precedenza. Entra una coppia di giovani stranieri. Venti giorni prima hanno avuto un incidente, lei ha una sospetta gravidanza e sente dolori all’addome. In venti giorni non ha fatto alcun controllo. Siamo preoccupati per la gravidanza, spiega il ragazzo, sui trent’anni, ubriaco. L’infermiera prende i dati della ragazza e manda via il marito. Per lei sono disposte le analisi. Un uomo bussa insistentemente alla porta. Vuole una ricetta, l’infermiera fa notare che le ricette costano 25 euro. Lui dice che zoppica per un incidente domestico e sta male, si è ferito con un chiodo arrugginito e vuole l’antitetanica. Si tratta di un emoderivato e serve la liberatoria. Mentre l’infermiera registra l’uomo e spiega la procedura la gente continua a bussare senza sosta. Sono le 19. Le due donne con i bimbi che non sono gravi chiedono del pediatra. Le infermiere chiamano al reparto, ci sono sempre 4 donne in attesa di diventare madri, non si scende se non è urgente, ma il pediatra è umano e invita le due donne a salire al reparto per guardare le bimbe. La piccola con la congiuntivite viene portata su. L’altra, senza febbre, dopo due ore di attesa decide di andare via. Arriva un’altra donna incinta, non c’è una sala per gestanti ma entra subito e resta in attesa, avrà una consulenza sulla sua situazione.

Alle 15 erano arrivate due persone per una consulenza chirurgica, sono nervosi perché aspettano da 4 ore, ma l’unico chirurgo è in sala operatoria dalle 14 e non è mai uscito.

Le infermiere parlano tra loro, a noi sembra una situazione infernale ma loro a sorpresa sono contente. “Oggi le persone sono tranquille – dicono – meno male, il sabato invece se ne vogliono andare presto e alzano la voce e aggrediscono”. Entra un’anziana. Ha una storta alla caviglia. E’ caduta tre giorni prima ma viene solo ora, alle 19,30 (il turno finisce a mezzanotte) le danno il numero 93 e dovrà attendere. Entra di corsa una ragazza con una puntura di insetto alla gamba, ha un’evidente reazione allergica. L’infermiera spiega cosa faranno e che dovrà continuare la cura a casa. La gente continua a bussare. Dalle 17 alle 20 non abbiamo visto un’infermiera in pausa, seduta, ferma, prendere un caffè o un bicchiere d’acqua, neanche andare al bagno. Sono tutte stanche e tutte vigili. Entra una signora anziana. Ha un ricovero programmato ma non c’è il posto letto. Anche lei resterà in pronto soccorso fino a che una struttura ospedaliera non darà l’ok all’accoglienza. Va in coda ai 12 anziani già in barella. Ci vorranno almeno 4 giorni.

Arriva una famiglia con una bimba che piange. La mamma dice che ha la febbre alta e le placche alla gola, la bimba strazia per le tante lacrime. Immediatamente le misurano i parametri vitali. Ha 37,1 di febbre e la respirazione e ossigenazione perfetta. “Non piange mai – dice la mamma – mi preoccupa”. L’infermiera le spiega che i parametri vitali sono buoni, forse la bimba è infastidita per la gola ma non è un’emergenza e c’è da aspettare. Dei bimbi stanno nascendo al piano di sopra e il pediatra non si può muovere. La mamma della piccola è nervosa e stizzita non risponde male ma poco ci manca.

Ha la sua bimba che piange che spezza il cuore. Che ne sa che l’infermiera che gli è sembrata troppo pratica e brusca ha registrato 100 persone, misurato febbre a 10 bambini, fatto iniezioni, flebo, guardato la gente che soffre e si lamenta (giustamente), sopportato mille bussate al vetro e alla porta, ogni genere di lamentele e bugie, curato tutti e mantenuto il sorriso anche con chi non è stato per niente gentile. “Perché non va subito in pediatria? – Chiede una signora in attesa anche lei proprio alla mamma della piccola – dovrebbe essere guardata subito, è piccola”. Non ci va perché non è urgente. Perché ci sono 4 bambini che stanno per nascere. Anche se piange e fa tenerezza e meriterebbe sicuramente attenzione. Viene dopo quattro parti avanzati in corso. Non c’è scelta. Alle 20, fortunatamente per noi, ce ne andiamo. Solo guardare è stato sfiancante, i dolori della colica sono passati ma ci è venuto un gran mal di testa. Solo a guardare. Le infermiere erano li da molto prima di noi e se ne andranno molto dopo. La maggior parte delle persone che hanno visitato sarebbero dovute andare dal medico di famiglia o dal pediatra. Invece in 110 sono venuti li (20 forse i casi da pronto soccorso) e sono stati tutti ascoltati, molti hanno dovuto aspettare e molto, non erano emergenze e non c’era scelta. Eppure il personale non si è fermato un secondo. Nemmeno uno.