Lo scorso aprile il Tribunale si è espresso sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma nel procedimento a carico di Giuliano Valente, contro l’ordinanza del Tribunale di Roma, sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. In sostanza il Pubblico ministero chiedeva che a Valente fosse revocata la misura degli arresti domiciliari, giudicata inadeguata, per imporre la detenzione in carcere, ma il ricorso è stato rigettato. Valente, secondo il Pm, (l’uomo è coinvolto in un’inchiesta per bancarotta insieme alla ex moglie e al figlio, per sottrazione di ricavi alla Valimm snc che ha comportato il sequestro dei beni personali) godeva ingiustamente dei domiciliari poiché il Gip, all’esito dell’interrogatorio, ritenendo attenuate le esigenze cautelari in ragione del comportamento in parte collaborativo dell’indagato aveva chiesto la carcerazione domiciliare. Rispetto a questa decisione proponeva appello censurando la valutazione operata dal giudice, lamentando la mancanza di motivazione sulla ritenuta collaborazione dell’indagato. Non solo, infatti, secondo il Pm, non risultava che il Valente collaborasse, ma addirittura l’imputato “aveva negato l’addebito e non aveva fornito alcuna informazione sulla sorte dei trentamila euro sottratti alla procedura giudiziaria, cosicché non era dato comprendere su quali elementi il giudice per le indagini preliminari avesse fondato la propria valutazione, smentendo quella riportata nell’ordinanza generica, nella quale aveva giustificato l’adozione della misura più grave per il ruolo del Valente, per la portata dei fatti e la loro protrazione nel tempo, per la tenacia dimostrata dall’indagato nel perseverare nelle condotte elusive benché consapevole delle indagini e dei provvedimenti ablatori adottati, e per l’inaffidabilità dimostrata, atteso che – in costanza di detenzione domiciliare – aveva impartito direttive ai familiari”. Valente, tra l’altro, in via di separazione dalla moglie, ha chiesto la detenzione domiciliare a Nettuno. I domiciliari concessi a dicembre del 2012, sono stati revocati il 7 gennaio del 2013 dal Tribunale del Riesame, che ha disposto un nuovo arresto. Infine, nuovamente concessi a marzo dello stesso anno. Il ricorso del Pm, per chiedere un nuovo arresto è stata rigettata il 23 dicembre del 2014, e nuovamente lo scorso mese dalla Corte suprema di Cassazione. Secondo l’orientamento della Corte Suprema, in tema di misure cautelari personali, “il ricorso per Cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito”. Di fatto “Riconosce il Tribunale come pur essendo condivisibile l’osservazione del pubblico ministero in ordine alla mancata collaborazione del Valente essendosi lo stesso limitato ad ammettere solo circostanze di fatto innegabili e, pur ritenendo lo stesso come “ideatore ed ispiratore delle operazioni incriminate”, nondimeno non risultano acquisiti elementi tali da far ritenere inadeguata – per difetto – la misura cautelare degli arresti domiciliari” per questo motivo, infine ne consegue il rigetto del ricorso.