Manca ormai solo un giorno al tanto discusso referendum abrogativo e il numero dei cittadini che si asterranno è a dir poco allarmante, solo uno su tre, secondo una statistica riportata da Il Fatto Quotidiano, si recherà alle urne. Ma facciamo un passo indietro. Referendum discusso dove? Nonostante si tratti appunto di un referendum, massima espressione della democraticità di uno Stato civile (quale dovrebbe essere la Repubblica Italiana), l’informazione a riguardo è stata minima, specialmente da parte della RAI, emittente pubblica. I servizi dedicatigli dal tg1 hanno avuto una durata di soli 13 minuti nel periodo dal 4 al 10 Aprile (fonte: IFQ). una informazione tra l’altro, prettamente di parte, dato che di questi 13 minuti, la maggior parte sono stati dedicati al Premier Renzi e all’ex capo di Stato Napolitano che invitano candidamente all’astensione. Lasciamo ora da parte le varie polemiche che poi si sono susseguite sulla passibilità penale di certi atteggiamenti da parte di cariche pubbliche che invitano all’astensione, vogliamo vederle come la loro libertà di esprimere la loro opinione, non come un tentativo di manipolare effettivamente le volontà dei cittadini, e cerchiamo di analizzare la tematica nel modo più neutrale possibile. Innanzi tutto, è dovere civico di ogni cittadino recarsi alle urne per esprimere la propria opinione e partecipare attivamente alla vita politica. Su questo, nulla da eccepire. Non staremo qui a convincervi su quale sia la scelta giusta da votare, se schierarvi per il si o per il no. Cercheremo di proporvi alcune considerazioni, liberi poi di farvi una vostra idea, per permettervi di andare a votare con convinzione sapendo di aver deciso con un minimo di informazione. La domanda sorge spontanea: sappiamo per cosa stiamo andando a votare? Il referendum di domani è atto ad abrogare un periodo di una norma che consente alle compagnie petrolifere di ottenere una proroga alla loro concessione di estrazione (originariamente trentennale) fino all’esaurimento dei giacimenti. Le scelte sono due: SI per abrogare il periodo; NO per non abrogarlo. Ma se dovesse vincere il si, già dal 18 aprile si smantellerebbero le piattaforme? Assolutamente no, se dovesse vincere il si le compagnie petrolifere non avranno una proroga alla loro concessione: questo vuol dire che lo Stato rispetterà gli accordi già presi e l’ultima piattaforma verrà smantellata nel 2034. Se dovesse vincere il no le piattaforme continuerebbero ad estrarre fino a che ci sarà la possibilità di farlo. A primo avviso si potrebbe pensare che sia conveniente anche per lo stato estrarre autonomamente idrocarburi, evitando quindi di acquistarli da altri Stati; ma analizzando alcuni dati è evidente il fatto che non è effettivamente così: le tasse imposte dallo Stato italiano per l’estrazione di idrocarburi sono del 7% per impianti marittimi e 4% per gli impianti sulla terraferma. Una cifra irrisoria, se si pensa che Stati considerati convenienti da un punto di vista fiscale per l’estrazione di idrocarburi come USA e Canada hanno aliquote oscillanti tra il 30 e il 40 percento. Inoltre sui primi 300mila barili estratti in mare e sui primi 125mila barili su terraferma lo Stato italiano prevede l’esenzione dal pagamento di tali tasse e nel 2015 sono state solo 8 delle 52 compagnie presenti in Italia a pagare tali tasse. Un’ulteriore precisazione è da fare se si ha riguardo ai dati sulle quantità di idrocarburi presenti sul territorio nazionale: le riserve certe presenti nel territorio, sia sulla terraferma che in mare, si attestano a 84,8 milioni di tonnellate, equivalenti a poco meno di 606 milioni di barili. Calcolando che il consumo di greggio in Italia è di circa 1,21 milioni di barili al giorno, ne consegue che tutte le risorse italiane basterebbero a coprire il fabbisogno nazionale per appena 500 giorni. Non certo una svolta decisiva, sulla via dell’autosufficienza energetica. Attenzione. Stiamo parlando di dati ufficiali, raccolti dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig). Tralasciando le statistiche, il futuro non può essere rappresentato da fonti di energia in via di esaurimento, in uno Stato come l’Italia che, sulla carta, è una delle maggiori potenze mondiali, si dovrebbe investire maggiormente su risorse rinnovabili, trovando alternative valide agli idrocarburi. In sintesi, quello di domani non è semplicemente un referendum “sulle trivelle”, come si sente dire in giro, ma può pesare sul futuro economico ed energetico del nostro paese; è, inoltre una possibilità per la cittadinanza di far sentire la propria voce, specialmente in questo periodo di grave crisi politica per il nostro Paese. Non ci si può esimere dalle proprie responsabilità di cittadino nascondendosi dietro un’astensione.
Matteo De Santis – Eleonora Mastropietro