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Attentato a Bruxelles, la testimonianza di Ennio Mellone

Belgian soldiers patrol on Brussels Grand Place after security was tightened in Belgium following the fatal attacks in Paris on Friday, in Brussels, Belgium, November 20, 2015. REUTERS/Yves Herman - RTS83UQ

di Mauro Cugola

“O santa pace, come starà Ennio?”… “Gli sarà successo qualcosa?”. Neanche il tempo di venire a conoscenza, dalla radio, dei due tragici attacchi terroristici di Bruxelles di martedì 22 marzo che il pensiero è immediatamente andato ad un vecchio amico di Nettuno che vive lì da qualche tempo. Ci legano tanti pomeriggi e serate trascorse insieme, una comune militanza, un bel po’ di episodi vissuti insieme da tirar fuori all’occorrenza quando lui decide di tornare giù per un po’.

Già, perché Ennio Mellone da dieci anni ha deciso di piantare le tende nella capitale belga. Ecco perché il pensiero è andato immediatamente a lui. Per fortuna che prima è arrivata una sua condivisione sui social dicendo che era tutto a posto, quindi addirittura due dichiarazioni su scala nazionale (una rilasciata al Tg5 e una seconda al Fatto Quotidiano, troppa grazia…) ci hanno tranquillizzato.

Passata dunque la comprensibile paura, invece che i soliti opinionisti d’accatto chi meglio di lui (che vive a Bruxelles) è in grado di spiegarci quale era il clima prima e dopo gli attentati di Parigi, e quello attuale con la capitale belga praticamente sotto assedio.

Da quanti anni vivi a Bruxelles?

Il 25 aprile saranno 10 anni esatti, ma a Bruxelles sono legato da quasi 20 per via di mia sorella che vi si era trasferita. Ho frequentato un corso di francese, e la prima volta che sono venuto qui avevo poco più di 20 anni. Dopo la laurea avevo intenzione di fare un po’ di pratica con l’insegnamento. Attualmente sono un insegnante free lance di lingua italiana. Con un altro collega abbiamo messo su una Onlus e organizziamo corsi nei locali che ci mettono a disposizione le amministrazioni pubbliche, ma principalmente i miei clienti sono le istituzioni.

Quanto è estesa la comunità araba e musulmana in Belgio?

La mia tesi fu sulla comunità del nostro paese proprio qui a Bruxelles, e a quei tempi la testa della classifica a livello di quantità se lo dividevano quella italiana e quella marocchina.

Sono integrati?

La domanda più giusta sarebbe capire cosa significa oggi integrazione… Anche io interagisco con la gente del posto, ma alla fine la cerchia di amici uno se la crea nella propria comunità. Con un distinguo importante, però. Gli italiani qui sono arrivati molti anni fa, decenni addirittura, e i loro genitori in casa parlavano francese mettendo l’italiano da parte, perché non era una lingua per così dire utile. Tanto che ora i figli ed i nipoti praticamente non lo conoscono. Con la comunità araba non è stata la stessa cosa, parlano perfettamente la lingua del posto e anche altre, ma seppur siano di seconda o terza generazione si esprimono perfettamente in arabo.

Puoi descriverci i cambiamenti di “clima” prima, durante e dopo Parigi?

Già prima degli attentati di Parigi trovavi i militari negli angoli delle strade e la cosa era abbastanza visibile, dopo il 13 novembre la tranquillità per così dire è precipitata. Lì avevamo tutti paura, c’era molta tensione, si avvertiva distintamente la minaccia e l’intenzione di andar via era forte. Dopo gli attentati di martedì all’aeroporto e alla metropolitana paradossalmente c’è meno di tutto questo, come se ci fosse stato uno sfogo a tutta questa tensione. Incredibile a dirsi, riprendere le attività quotidiane è più facile, anche se ovviamente il livello di attenzione si è alzato.

Cosa succedeva in particolare?

Le azioni di prevenzione avvenivano in quartieri particolari e ben precisi, da dove vivo io sentivi al massimo qualche sirena in lontananza. Si sapeva che c’era un azione di controllo in atto con tante perquisizioni. Però, e chissà se possiamo chiamarla una sorta di “distorsione della democrazia”, alcune non potevano essere effettuate perché le leggi non permettono di effettuare ad esempio delle irruzioni nelle case se non entro determinati orari, rendendole di fatto vane perché fornivano tutto il tempo per prendere eventuali contromisure.

Il giorno dell’attentato dove eri?

Ero a casa, erano ancora le 8 e mi sono iniziati ad arrivare dei messaggi al telefono, e capii quello che stava succedendo. Il tutto poco prima di far uscire le “mie donne”, mia moglie e le mie due bambine. Di solito passa mia sorella, in macchina con mia moglie portano le bambine al nido e poi vanno a lavorare, quindi esco anche io con la bicicletta. Decidemmo comunque di comportarci come tutti i giorni. C’è da dire che l’ufficio di mia moglie e di mia sorella si trova a meno 200 metri dalla fermata della metropolitana di Maelbeek che per giunta è a sole due fermate da dove abito io. Quando c’è stato il secondo attacco, per fortuna, non erano ancora uscite dal parcheggio del nido, così hanno fatto in tempo a riprendere le bambine ed a tornare a casa prestissimo. Anche perché dopo comprensibilmente c’è stato il caos. Tanto per dire davanti casa mia, che è una via tranquillissima, il traffico era impazzito.

Pensi che si possa vivere ancora in sicurezza a Bruxelles?

Ora come ora sono combattuto. Se dovessi ragionare da individuo singolo andrei via domani. Non solo per gli attentati, ma da qualche anno la qualità della vita si è abbassata rispetto a quando sono arrivato qui. Ma qualsiasi decisione, con una famiglia, diventa decisamente più complessa. Qui abbiamo il lavoro, ho comprato casa…

Ma esiste una formula per vivere pacificamente e far convivere persone di diverse religioni, visto che la situazione la vedi tutti i giorni sotto i tuoi occhi?

E’ una cosa che mi domando anche io, insieme alla stragrande maggioranza delle persone moderate, anche arabe se è per questo. Rimangono una comunità tendenzialmente chiusa, sembra che sussista un velo di omertà o di copertura indiretta, non ostentata. Si difendono tra di loro. Non penso sia una cosa che si risolva così su due piedi…