Enrico Bruschini, da Nettuno alla Silicon Valley

E’ il giornale LINKIESTA a pubblicare, a firma di Silvia Favasuli, la storia di uno studente di Nettuno che oggi si trova a lavorare nella Silicon Valley. Si tratta di Enrico Bruschini che racconta la sua storia e di esserci arrivato “per caso”. Ma gli step per raggiungere la Baia di San Francisco ambitissima, non è poi così difficile.

«Per me che volevo fare l’imprenditore, San Francisco era la Mecca – racconta Bruschini 26 anni – ma della Mecca non conoscevo assolutamente nulla prima che lei stessa mi venisse a cercare. Dopo due anni di Ingegneria Aerospaziale alla Sapienza di Roma, avevo deciso che l’idea iniziale di diventare ingegnere non faceva per me. E avevo cambiato con una laurea in Economia e Finanza. Sognavo di creare qualcosa di mio e avevo bisogno di una facoltà che mi desse una visione più ampia delle cose. Finita la triennale, stavo cercando un Master in International Business. Guardavo ad Amsterdam, a Londra. Finché un giorno non mi contatta una università americana». La Hult Business School. Enrico si candida per gioco, senza prendere subito seriamente la cosa. Ma viene selezionato.

Decidere di fare un master negli Usa. «Se frequenti un master negli Usa per un anno, ottieni un visto di lavoro per un ulteriore anno. Ti danno la possibilità di fermarti e mettere in pratica quello che hai imparato in un’azienda». E poi è una questione di network. «Il mercato statunitense si basa tutto sul concetto di fiducia. Non assumono mai o quasi mai qualcuno che non abbia già lavorato o fatto attività significative in America. Se frequenti un master hai la possibilità di fare network, e di raccogliere le referenze di cui hai bisogno per dare garanzie a chi ti assumerà alla fine degli studi».

«Quando nasci in un paesino di provincia, e ti diplomi al liceo vicino a casa, la cosa più naturale è andare a studiare nella città meno distante». È qualcosa che Bruschini tiene a dire. Soprattutto pensando ai liceali italiani. «Per me, uscito dal Liceo di Nettuno, quella città era Roma. Non conoscevo alternative, non avevo consapevolezza dei grandi istituti internazionali. Ho scelto Ingegneria Navale perché avevo un papà che lo faceva già di mestiere e sono da sempre appassionato di vela. Ma sono arrivato a fare quel che davvero volevo fare solo per caso. Per questo mi piacerebbe che la mia storia servisse invece ad aiutare altri italiani ad essere più ambiziosi». «Non avevo le risorse economiche per frequentare il master della Hult, ma ho ottenuto una scholarship e ho chiesto un prestito al Fondo studenti italiani una realtà poco nota ma molto utile per chi vuole studiare negli Usa. Offre prestiti all’americana, che ripaghi quando inizi a lavorare».

Per lavorare nella Baia, tuttavia, occorrono anche altri strumenti. Bisogna apprendere velocemente il «mindset» del posto. «Qui devi imparare il pragmatismo. Nessuna formalità, nessun linguaggio accademico.Anzi. Devi imparare a scrivere sgrammaticato. E lo devi fare, altrimenti la tua mail «sounds wrong» (suona sbagliata, ndr)». Sono dettagli, spiega Enrico, che se fai il developer non affronti mai ma se sei nel lato business di un’azienda, devi imparare in fretta». Il primo lavoro che Bruschini ottiene è un ruolo di Direttore Operativo (COO, Chief Operating Officer) presso Pick1 di Paolo Privitera, un italiano conosciuto durante una delle attività fatte al Master. Pochi mesi dopo a contattarlo è Loris Degioanni un italiano che ha di recente fatto parlare di sè per aver lanciato una nuova start-up dopo una exit da 30 milioni di dollari con la Cace Technology. In Italia Bruschini aveva avuto già la possibilità di lavorare in un’azienda fortemente innovativa, Energie Etiche, una start-up romana che crea software per testare il luogo di istallazione di una pala eolica. Tornare in Italia è un’ipotesi che Enrico considera del tutto inappropriata al momento. «Non voglio tornare, non ora, perché qui ci sono opportunità di crescita personale e professionale. Qui c’è la possibilità di costruire qualcosa di rilevante che abbia un impatto su molte persone. C’è una velocità diversa nel costruire un’azienda o un prodotto. In molto meno tempo si può costruire qualcosa, imparare, riuscire o sbagliare e, in caso, provare ancora. Nella Silicon Valley in poco tempo puoi costruire qualcosa, imparare, riuscire o sbagliare e, nel caso, provare ancora. Quando mi guardo indietro – chiude Bruschini – vedo una persona che non sapeva nulla su come vanno le cose fuori da Nettuno e da Roma. Se qualcuno me lo avesse detto, se avessi letto, se avessi trovato notizie sulle opportunità formative all’estero, ci avrei pensato prima, sarebbe stato tutto meno frutto di una coincidenza. Per questo è importante che tutto ciò si racconti. I giovani italiani che sognano la Silicon Valley devono sapere che arrivarci è più facile di quel che si crede». (L’intervista completa è disponibile sul sito de LINKIESTA).